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Western Stars
“Springsteen canta per ognuno di noi, come se ci conoscesse”, diceva il protagonista Javed in Blinded by the Light di Gurinder Chadha. Il mitico “ispirato a una storia vera” questa volta era sincero, e faceva riferimento all’esistenza del giornalista Sarfraz Manzoor. C’è chi ha imparato a lottare con la musica del Boss nelle orecchie.
Oggi Springsteen torna davanti alla macchina da presa (ma è anche co-regista), dopo il fluviale Springsteen on Broadway, disponibile su Netflix.
È il mattatore di Western Stars, anche titolo del suo ultimo album. Tredici canzoni in un film concerto girato interamente nel fienile della sua tenuta in New Jersey. Spirito country, ma anima western. Enormi vallate, cavalli che corrono liberi, route deserte di cui non si vede la fine.
Western StarsLa sua arte affonda le radici nelle origini di una nazione, nel genere che ha fondato l’America. Sabbia, asfalto, cappello da cowboy. Con l’immaginario creato da Jonathan Demme in Streets of Philadelphia sullo sfondo. Al centro c’è sempre la strada, un tempo simbolo di ribellione, e adesso solo una congiunzione tra un punto e un altro. “Gli americani passano gran parte della loro vita in macchina. Hanno bisogno di muoversi senza sosta, ma non sempre stanno andando da qualche parte”, spiega Springsteen. Che ragiona sul presente, sulle abitudini delle persone comuni.
In Springsteen on Broadway si metteva a nudo per 153 minuti, regalava se stesso al pubblico. Qui invece segue la parabola di Blinded by the Light e, oltre a “cantare per ognuno di noi”, diventa uno di noi. Chitarra in mano, camicia sbottonata, gli immancabili jeans, narra di un viaggiatore in Tucson Road, della “nascita” di un miracolo in There Goes my Miracle (bellissima registrazione).
Da cantastorie per eccellenza, eterno Born in the U.S.A., Springsteen dedica la sua voce a chi vorrebbe essere John Wayne, a funamboli da rodeo che sembrano usciti da L’ultimo buscadero di Peckinpah. E forse, nel suo sguardo, si coglie quella vena crepuscolare di chi ha cavalcato davvero insieme ai giganti.
Viene in mente Anna Magnani che, in Bellissima di Visconti, si struggeva guardando il Duca e Montgomery Clift ne Il fiume rosso. E diceva che il cinema poteva portarci in luoghi stupendi, strappandoci al nostro dolore di tutti i giorni.
Springsteen con i suoi versi incarna quella visione: immerge la platea nel suo Somewhere North of Nashville (e il ricordo va subito ad Altman), tiene alta la bandiera issata da John Ford in Chasin’ Wild Horses, rende omaggio alle controfigure in Drive Fast (The Stuntman), e trova la quiete sotto le Stelle dell’Ovest (Western Stars).
Il cinema nel cinema, dove lo spettacolo non è nelle immagini, ma nelle parole. Mentre la moglie Patti Scialfa lo affianca sul palcoscenico, creando quasi un ritratto di famiglia.
Un film dalla struttura semplice, lontano dai fasti per esempio di One more Time with Feeling su Nick Cave. Ma che trasuda poesia, quasi come se fossimo ancora nel 1984, quando il video era Dancing in the Dark e il regista era addirittura Brian De Palma.