PHOTO
Agosto 1992, tre anni dopo la caduta del Muro di Berlino. Nell'ex Germania dell'Est, a Rostock, scoppia al rivolta contro gli immigrati, meglio, richiedenti asilo che abitano in un complesso di palazzoni in periferia. Dopo tre giorni di sommosse, violenze xenofobe e scontri con la polizia, in quella che passerà alla storia come la “Notte del Fuoco” oltre 3mila manifestanti, tra cui tanti giovani e neo-nazi, danno fuoco al palazzo che ospita 150 rifugiati vietnamiti.
Questa la realtà, poi arriva la finzione: We Are Young. We Are Strong, opera seconda del regista tedesco di origini afghane Burhan Qurbani, in cartellone al Festival di Roma nella sezione Cinema d'oggi. Il film prende 24 ore e tre personaggi: la vietnamita Lien (Trang Le Hong), che ha un permesso di soggiorno definitivo, ma molte insicurezze sul fatto che la Germania riunificata sia la sua nuova patria; Stefan (Jonas Nay) e i suoi amici, perdigiorno e vandali notturni, un po' no future e un po' tanto ideologicamente incerti, tra Internazionale e braccio teso; il padre di Stefan, Martin (Devid Striesow), politico locale della SPD incerto sul da farsi, ovvero indeciso tra morale e convenienza…
Girato in bianco e nero cui succede il colore nell'ultima parte, ben musicato tra percussioni ed elettronica, supportato da un cast davvero convincente, We Are Young. We Are Strong non aggiunge nulla, se non le coordinate specifiche, al genere ribellioni senza causa e più o meno xenofobe - il campione ultimo scorso rimane This is England, L'odio è un altro modello – eppure si fa ben vedere, seguire e accende pure qualche riflessione non banale. Una su tutte, il padre di Martin gli ricorda come lui, comunista, abbia combattuto il proprio padre perché fascista, poi Martin avrebbe combattuto lui perché democratico, ma Stefan perché lotta? Spuntano i mostri, tornano lunghi coltelli e cristalli, e il regista torna – esplicitamente, ma erroneamente nelle note di regia – alla profezia di Gramsci (Quaderni del carcere): “Il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. Dunque? Crisi, xenofobia e… un film onesto.