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Si canta e si balla sulle note degli X Japan, forse la band più famosa che il Giappone abbia mai lanciato sul palco. Hanno venduto più di trenta milioni di dischi in tutto il mondo e molti li considerano i Beatles d’Oriente. We are X è l’urlo dei fan sfegatati fuori dai palazzetti, come il Tokyo Dome, dove hanno fatto registrare per diciotto volte il tutto esaurito. Il loro stile avanguardistico abbraccia l’heavy metal, con un cocktail che spazia dal pop al rock, fino alla musica classica. In Giappone lo chiamano visual key, dal motto della band Psychedelic Violence Crime of Visual Shock, che si legge sulla copertina dell’album Blue Blood.
Pantaloni di pelle, costumi eccentrici e uno spiccato gusto per la teatralità sono il biglietto da visita di un gruppo dalla storia complessa. We are X è un documentario musicale che si sviluppa come un flashback. Si parte con il concerto del Madison Square Garden del 2014, per poi trovarsi proiettati quattro giorni prima, con gli X Japan che regolano i bassi e ricordano la loro infanzia.
L’anima del gruppo è il talento naturale Yoshiki Hayashi, che suona sia la batteria che la tastiera, oltre ad aver composto gran parte delle canzoni degli X Japan. È un’artista poliedrico dalla personalità tormentata. Più volte ha pensato di suicidarsi, senza mai trovare il coraggio. “Togliersi la vita è un atto egoistico e allora devo suonare, per dimenticare il dolore e allontanare la morte”, racconta Yoshiki. La scomparsa del padre gli ha distrutto la fanciullezza, e nel 1998 ha dovuto affrontare la follia di Hide, il cofondatore e chitarrista, che non è più riuscito a sopportare il peso dell’esistenza.
In We are X, la musica si trasforma nella medicina di un’insostenibile quotidianità, che schiaccia gli artisti spingendoli verso la follia. Il successo e la fama non bastano per lenire le pene che hanno radici profonde. Yoshiki sviene alla fine di ogni concerto, perché l’ossigeno non basta quando le bacchette corrono veloci sui piatti e sui tamburi. Le luci della ribalta non riescono a salvare questi naufraghi del nostro tempo, che nello strazio scoprono il loro estro per lasciare il segno.
Il regista Stephen Kijak, che aveva già lavorato con i Rolling Stones per Stones in Exile, alterna i successi mondiali con il dramma intimista. Cerca di scavare nel profondo degli X Japan e non si limita a realizzare un dietro le quinte con qualche performance per la gioia del pubblico. We are X è un film a tutto tondo, dove i videoclip sfumano in disegni e le interviste si amalgamano con gli assoli di chitarra. Forse bisognava smussare i rallenty, ma il ritratto diverte anche chi non custodisce tutta la discografia nell’armadio.
La X rappresenta l’incognita, quella variabile che tutto ammette e che può assumere qualsiasi valore. Non esiste un limite all’inventiva, alla voglia di fare sempre più rumore per non sentire un silenzio assordante. Alzate il volume, perché We are X infiamma il Festival dei Popoli a Firenze, per l’emozione di chi crede ancora nella magia della musica.