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We Are Who We Are conferma, ed estende, il talento impressionistico di Luca Guadagnino nel rendere i moti d'animo, i desideri di essere (essere, mai avere) nell'estate della nostra vita, l'adolescenza. Evocata dal titolo, già debitore del “It is what it is” in Time Will Tell di Devonté Hines (Blood Orange) che qui cura le musiche aggiunte, la tautologia del suo cinema è invero “libero = libero”, ché Guadagnino sa come affrancarsi dal prevedibile e affrancarci dal già visto, astenendosi dalla bestia più grama di questi anni: il giudizio.
Non è un film manifesto sul gender fluid, bensì un'appassionata, vitalista, ostinata e contraria rivendicazione dell'identità quale libero arbitrio, possibilità di scelta e confusione.
Meno convince quando tocca temi che non padroneggia, l'Islam o - vi ricordate specularmente A Bigger Splash? - i locali, qui i veneti, ma le sue intenzionali fughe dalla storia per rallentare, freezare il racconto, privilegiando dunque l'armonia sulla melodia, sono incomparabili, e non solo nel nostro cinema, che peraltro gli va sempre più stretto.
Tra Maurice Pialat, per lui, e Jacques Doillon, per che scrive, #WeAreWhoWeAre riporta al cinema il fuoricampo più colpevole qui e ora: l'empatia.
Coprodotta da Sky e HBO, prodotta da Lorenzo Mieli per The Apartment e Mario Gianani per Wildside, entrambe del gruppo Fremantle, la serie in otto episodi, dal 9 ottobre alle 21.15 su Sky Atlantic e in streaming su NOW TV, è scritta dallo showrunner Guadagnino con Paolo Giordano e Francesca Manieri, ed è interpretata da Chloë Sevigny, Jack Dylan Grazer, Alice Braga, Jordan Kristine Seamón, Spence Moore II, Scott Mescudi, Faith Alabi, Francesca Scorsese, Ben Taylor, Corey Knight, Tom Mercier e Sebastiano Pigazzi.
Il cast è ottimo, complice una direzione d’attori accorta, accorata, di più, fusionale: se per Rimbaud non si può essere seri a diciassette anni, Guadagnino ci mostra con Fraser (Jack Dylan Grazer, nipote di Brian, lo avete già visto in It), che segue la madre comandante Sarah (Chloë Sevigny) in una base militare statunitense in Veneto, e la sua anima gemella Caitlin (Jordan Kristine Seamón) come a quattordici si possa essere molto, tutto, e di più.
Non esistono steccati, recinti, confini, solo frontiere da spostare più in là, facendo della musica, da Common ad Alberto Camerini, da Tom Jobim a Calcutta, da Action Bronson a Cosmo, da Prince a Francesca Michielin, colonna portante, supporto psicologico, vademecum esistenziale: sono quel che ascolto, e il finale sarà il concerto bolognese di Blood Orange.
Prima, le affinità elettive di Fraser, in cui non vi sarà difficile trovare echi del Timothée Chalamet di Call Me By Your Name, mentre il corrispettivo di Armie Hammer è affidato al maggiore incarnato da Tom Mercier, che ritroviamo come l’avevamo lasciato nel bello Synonymes: nudo.
Prima, le affinità elettive di Caitlin, forse la cosa più potente del film (film, non serie: Guadagnino ha ragione a intenderlo così): sta a lei incarnare la possibilità di essere altro, e tutto, di lasciarsi guidare dall’impero dei sensi e dalla democrazia settaria dell’adolescenza.
Sono totalizzanti, Fraser e Cat, perché non contemplano parcellizzazioni, subordinazioni, riduzioni in schiavitù, ovvero lo iato tra volere e non potere, essere e non appartenersi: non così gli adulti, Sarah e la moglie Maggie (Alice Braga), la madre di Cat Jenny (Faith Alabi) e il padre Richard (Scott Mescudi), che alla verità antepongono sempre l’obbligo, o l’obbligazione.
Fraser e Cat no, le famiglie non tengono, le compagnie nemmeno, il futuro è una terra straniera, l’alterità promessa di felicità, le differenze il viatico alla conciliazione: siamo chi siamo, e nulla di meno.
Di due uno, almeno, un film right here, right now che Guadagnino, in ossequio alla propria casa di produzione, governa freneticamente, tra spasmi formali e involuzioni narrative, senza mai tacitare l’inclusività, che non è il proselitismo, le idee, che non sono l’ideologia, l’arte che qui coincide con la vita.
C’è del romanticismo, e mica poco, c’è l’anelito, e mica sopito, c’è l'erotismo, e mica anestetizzato, la possibilità di fare di Chioggia e dintorni una terra inedita, un altro mondo possibile, una frontiera sulla meraviglia: Guadagnino non ha trovato l’America in Italia, ce l’ha portata.