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Watchmen
"Posso cambiare tutto, non la natura umana", dice Dr. Manhattan prima di andarsene in esilio su Marte. Siamo nel 1985 e una bomba ha appena ucciso milioni di persone. Ma il fine ultimo, la pace, è stato raggiunto. Dietro al disastro nucleare, non i leader delle superpotenze, ma un vigilante con un sogno: ripulire il mondo. Il kolossal diretto da Zack Snyder, (2 ore e 40' e 150 milioni di dollari di budget) gronda sangue e violenza come l'originale Watchmen, fumetto cult degli anni Ottanta, sceneggiato dal genio di Alan Moore (V for Vendetta, From Hell) e illustrato da Dave Gibbons. La decostruzione del mito del supereroe è l'elemento innovativo della storia che Snyder ripropone fedelmente, la carrellata di personaggi esemplificativa, quasi tutti in bilico tra Bene e Male. Rorschach (Jackie Earle Haley), la Maschera per eccellenza, è più psicopatico che eroico, Il Comico (Jeffrey Dean Morgan), ne ha fatte di cotte e di crude, Ozymandias (Matthew Goode), il cui vero nome è Adrian Veidt, è affetto da megalomania. Il film, come la graphic novel, è ambientato in un universo parallelo, i cui riferimenti sono reali e alterati allo stesso tempo da avvenimenti portati alle estreme conseguenze. E' il caso del presidente Nixon, che ha cambiato la legge rimanendo in carica per cinque mandati consecutivi, instaurando una forma di dittatura mascherata (le analogie con il presente sono inequivocabili e inquietanti). Mentre scorrono le immagini catastrofiche di una Storia alternativa in cui il Vietnam si è risolto con successo grazie all'intervento di Dr. Manhattan (Billy Crudup nella versione umana), l'unico vero mutante, la colonna sonora passa dalle note selvagge della Cavalcata delle Valchirie a quelle malinconiche di The Times They Are A-changin' di Bob Dylan. Apocalittico, visionario, fin troppo sofisticato nelle citazioni extratestuali (si passa da Giovenale a Brecht), Watchmen mantiene intatto il fascino brutale del fumetto, con un cast azzeccato e la consapevolezza dell'ineluttabile destino degli esseri umani.