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Wara no tate
Dopo aver brutalmente ucciso una bambina di 7 anni, Kunihide Kyomaru (Tatsuya Fujiwara) diventa l'uomo più ricercato del Giappone.A dargli la caccia non è tanto la polizia, a cui si é già consegnato, ma chiunque voglia intascare la taglia che il nonno della vittima ha messo sulla testa dell'assassino. Toccherà a un reparto scelto della polizia – tre uomini e una donna - proteggerne l'incolumità e portarlo vivo al processo. Ma con la crisi economica, i candidate giustizieri possono nascondersi ovunque, squadra speciale inclusa.
Spunto interessante, da western-movie, quello di Wara No Tate: Takashi Miike si presenta sulla Croisette, in concorso, sfoderando grandi mezzi produttivi (anche la Warner dietro il progetto) e uno spiccato senso dell'azione. Tra esplosioni, sparatorie in treno e panoramiche, sembra di stare dentro a un pirotecnico blockbuster americano, verso il quale Miike mostra affinità grazie a una buona padronanza di stile e memoria (da Speed a Seven, numerosi i prestiti).Gli va rimproverato tuttavia un approccio grossolano al racconto, tanto nei personaggi (schematici e insopportabilmente stupidi) quanto nella storia (piena di falle e inverosimiglianze). La enfasi melodrammatica poi con cui Miike cucina il tutto rischia di far apparire il film come una enorme caricatura.E dire che i temi ci sono. Spenti i fuochi di artificio di una mission impossible, restano gli interrogativi paradossali di un film che riflette sulla crisi, economica e identitaria, del Giappone di oggi, un piede nella tradizione e un altro nel terzio millennio.Miike si chiede e chiede al suo pubblico se esiste ancora il vecchio senso dello Stato, la lealtà a una idea di comunità e a una funzione, che non possa essere comprata dai soldi. E, più in generale, qual è la giustizia giusta: quella formale, sancita dalla legge ed esericitata nei tribunali, o quella naturale, affidata all'innato sentimento morale umano?Non sono domande che normalmente ci si aspetterebbe da un blockbuster. Ma da Miike, e da un film in concorso, era lecito invece attendersi di più.