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Waiting for the Sea
Dov'è finito il mare? Se l'è mangiato una tempesta di sabbia - i riferimenti alla piaga della desertificazione sono ben accetti, perché è quel Lago d'Aral che tra '60 e '90 è diventato quasi una pozza. Dunque, un villaggio si secca. L'unico a non mollare è il capitano Marat (Egor Beroev, sulle gambe), che in quella tempesta ha sacrificato l'equipaggio e la sua amata. Pertanto, quando ritorna dopo la prigione è inviso ai poveri villici. Ma lui promette: ritroverò la mai amata e l'equipaggio, perché il mare non uccide. La sua nave è già stata trovata, in secca che più secca non si può. Ma l'indomito Marat non si dà per vinto: argano alla mano, la trascina verso quel che resta del mare. Impresa disperata, e se non bastasse la sorella dell'amata, Tamara (Anastasia Mikulchina, bella ma non balla), gli ronza attorno tutta innamorata.
E' il film d'apertura, fuori concorso, del settimo Festival di Roma: Waiting for the Sea del tagiko Bakhtiar Khudoijnazarov, giustamente noto per il folgorante Luna Papa del 2007. Ecco, questo Aspettando il mare non folgora, proprio no. Gestazione lunga e tormentata, una nave da spostare con titanico sforzo, si potrebbe pensare a Fitzcarraldo di Herzog, ma qui non c'è la montagna, bensì la calma piatta del deserto: l'ascensione mancata non interessa solo la storia, ma il racconto, perché si rimane in impaziente attesa di un colpo di scena, di un sussulto di orgoglio (registico), di una benedetta cesura alla stracche iterazioni di Marat e compaesani assortiti.
Nulla, solo distese di sale, relitti nautici, cammelli, treni, cavalli, vecchi e vecchie, qualche bambino e, appunto, deserto: sullo sfondo, le immagini sono talmente naturalisticamente belle da far invidia al National Geographic. Di più non dimandare, perché questo mare è come Godot, e quando e se arriva ti si son già seccati gli occhi. Peccato, Khudoijnazarov è un talento - si veda anche Pari e patta, Leone d'argento a Venezia 1994 - ma qui stecca. Siccità d'autore.