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Voice Over
"Ho lavorato a questo film per sette anni: sei anni e quarantotto settimane le ho impiegate a cercare fondi; le restanti quattro settimane ho girato”, il regista bulgaro Svetosslav Ovtcharov presenta con queste parole l'anteprima italiana del suo lungometraggio al pubblico del Bif&st (Bari International Film&Tv Festival).
Dopo aver raccolto premi ed elogi nei festival internazionali, il film tenta la fortuna anche in Italia, sperando di trovare una distribuzione che lo valorizzi. La storia narra di Anton (Ivan Barnev, un volto che non stonerebbe in un film di Ken Loach) e della sua famiglia - moglie e figlio dalla salute precaria - costretti a portare avanti una relazione a distanza negli anni della guerra fredda. Lui, bloccato a Sofia a girare film come operatore; loro a Berlino, nella Germania dell'Ovest, ad innamorarsi, a poco a poco, delle comodità insite nel capitalismo. Quando Anton verrà preso di mira dalla polizia bulgara convinta di avere tra le mani un pericoloso nemico del socialismo, inizieranno per lui una serie di problemi legali/giuridici che allontaneranno il momento del ricongiungimento tanto (tanto?) bramato.
Basato su una storia vera, Voice Over è “una riflessione sulle armi non convenzionali che vengono utilizzate dalla polizia: si uccide anche con una penna o con una macchina da scrivere”, commenta amaro Ovtcharov.
Il film è “un dramma con una leggera venatura comica”, come ha avuto modo di dire Enrico Magrelli, vice presidente del Bif&st, presentandolo alla platea del Teatro Petruzzelli.
In realtà il film non tocca mai vertici drammatici, ma si mantiene in rotta con uno spirito leggero, da commedia impegnata, per tutti i suoi 106 minuti. Voice Over ricorda – e soventemente ammicca - per situazioni ed atmosfere a La Nuit Americaine (1973) di François Truffaut; siamo nel metacinema dunque, e in quel particolare piacere che chi fa cinema ha nel parlare del proprio mestiere. A livello di scrittura il film non riesce a delineare in modo chiaro, alcuni nodi fondamentali della trama e alla fine sorge spontanea una domanda: per Anton conta davvero di più l'attaccamento agli ideali del suo Paese o non è seriamente innamorato della moglie?
Non si capisce mai cosa sia davvero importante per lui e a pagarne è l'empatia con il protagonista.
Le pecche di sceneggiatura sono però ridimensionate da ottime trovate scenografiche (l'idea, ad esempio, di annullare le distanze spaziali tra i protagonisti che si ritrovano spesso a condividere gli stessi luoghi pur essendo lontani) e dalla trama secondaria leggera e divertente che porterà due membri delle forze dell'ordine ad avvicinarsi e a scoprire l'amore.