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La catarsi la si raggiunge durante la proiezione di La voce della luna di Fellini. Siamo nel 1990, in Israele, e il momento più importante di Voci d’oro si consuma poco prima del ballo di Paolo Villaggio con la duchessa. “Che ne potete sapere voi? Avete mai sentito il suono di un violino? No. Perché se aveste ascoltato le voci dei violini come le sentivamo noi, adesso stareste in silenzio e non avreste l'impudenza di credere che state ballando”, diceva Villaggio osservando i ragazzi agitarsi al ritmo di musica sfrenata. Ed è come se il regista israeliano Evgeny Ruman partisse proprio da questa battuta per costruire il suo film.
Al posto dei violini, c’è il cinema. Dimenticato, mai approfondito (“Fellini, chi?”, sentiamo dire), piratato senza coglierne la magia. Voci d’oro è ambientato durante la fase della Aliyah (il ritorno in Israele) legata al crollo dell’Unione Sovietica. Victor e Raya Frenkel sono ebrei russi, hanno fatto per anni i doppiatori, una professione che all’alba del nuovo decennio sembra non essere più richiesta. Devono inventarsi un nuovo lavoro.
Fellini per loro è una presenza costante, hanno reso comprensibili i suoi capolavori per tutta l’URSS. Si sono dati il primo appuntamento dopo Le notti di Cabiria, e hanno incontrato il maestro al Festival di Mosca per 8 ½. È il loro mito, ma Victor ha anche dato la sua voce a Kirk Douglas in Spartacus, a Dustin Hoffman in Kramer contro Kramer, richiamato in una delle sequenze più struggenti del film.
La figura del doppiatore recupera la sua centralità, in un ritratto di disperata nostalgia. Ma anche nelle difficoltà, non si perde mai il sorriso. L’obiettivo di Ruman è girare una commedia disincantata, con sfumature alla francese, in cui Fellini è una pietra angolare nel suo essere irraggiungibile, affascinante, un fantasma di cui non si riesce a cogliere l’essenza.
Ruman si concentra sulla passione, e ne mette in scena tutte le sfaccettature. Omaggia quella per la sala cinematografica, per l’arte, per poi spostarsi su quella amorosa, immergendosi anche nell’erotismo che deriva dalle parole, dalle diverse tonalità che possono assumere. Voci d’oro mira a sedurre, non solo lo spettatore, ma anche la Storia che nel suo incedere si è fatta impietosa, irriconoscente.
Si riaccende il dibattito tra doppiaggio e fruizione in lingua originale. Il cineasta però non dà una risposta, non vuole schierarsi. La sua attenzione è per il sentimento, l’essere umano, in un Paese in cui, anche quando la vicenda è leggera, non si dimentica mai la presenza della guerra. Disponibile dal 24 aprile su MioCinema.