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Vizio di forma
“Il difetto è insito e prima o poi verrà fuori”. Chissà se Paul Thomas Anderson, oltre a “tradurre” in questo modo l’Inherent Vice (il Vizio di forma) a cui alludeva Thomas Pynchon intitolando così il suo settimo romanzo, presagiva anche l’esito del suo settimo lungometraggio da regista. Che parte da premesse di per sé impossibili, trascinare sul grande schermo (per la prima volta) uno dei romanzieri forse più intraducibili dell’era moderna. Farlo con il suo libro più “accessibile”, non equivale a rendere meno ardita l’operazione: siamo a cavallo tra i ’60 e i ’70, nella fantomatica Gordita Beach di Los Angeles; dal detective (strafumato) Larry “Doc” Sportello (Phoenix) si presenta la ex Shasta Fay (K. Waterston): il suo attuale fidanzato miliardario, gli racconta, sarebbe al centro di una losca trama da parte dell’ex moglie e del suo attuale ragazzo, decisi a rapirlo per poi intascarne le fortune.
In un mondo dominato dalla paranoia, dai neon e dagli allucinogeni, Sportello inizia a muoversi in tortuosi sentieri battuti anche dal tenente Christian F. “Bigfoot” Bjornsen (Brolin), che conducono nelle grinfie della misteriosa Golden Fang, struttura creata ad hoc da qualche dentista per evadere le tasse…
Dopo Il petroliere (un film sull’assenza di padri) e The Master (un film sull’assenza di madri), Vizio di forma – che riporta Anderson a misurarsi con la coralità già esibita in Boogie Nights e Magnolia – si inserisce in un percorso che tenta di rimettersi sulle tracce della “promessa americana” perduta.
Per farlo, il regista si affida ancora una volta a un Phoenix inimitabile e a uno stuolo di personaggi di contorno (la cantautrice Joanna Newsom nei panni di Sòrtilege e voce narrante), più o meno “invasivi” nell’andirivieni allucinogeno del trip intrapreso dal protagonista. L’atmosfera c’è, e respira a pieni polmoni anche grazie alle musiche (originali) di Jonny Greenwood più le hit del periodo, ma il rischio è che alle lunghe il film si accartocci su se stesso. Come se, nomen omen, non riesca a liberarsi dal proprio vizio di forma.