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C’è uno straziante filmato di repertorio, nel documentario che Michele Mellara e Alessandro Rossi hanno dedicato al professor Cesare Maltoni, in cui, al termine di un’udienza, un operaio di Porto Marghera si avvicina all’oncologo, che ha appena deposto in aula sugli effetti cancerogeni del cloruro di vinile.
Mentre l’operaio preme un apparecchio sulla gola, producendo una voce metallica, nel volto del medico scorgiamo il senso di una dolorosa impotenza. All’inizio degli anni Settanta, sovvenzionato dalla Montedison, Maltoni condusse uno studio sperimentale sugli effetti cancerogeni del cloruro di vinile, prodotto nel polo petrolchimico di Marghera.
Nonostante la dirigenza fosse a conoscenza dei pericoli che correvano i lavoratori e la popolazione esterna agli impianti, non stanziò sufficienti risorse per la tutela della salute e dell’ambiente. Sfidando il potere dell’industria e l’ostilità del mondo accademico, con lucida passione civile e dati scientifici alla mano, Maltoni lottò in prima linea contro chi aveva perseguito solo il profitto, calcolando anche la possibilità di essere messo a tacere in quanto considerato un elemento di disturbo. Il processo si chiuse amaramente con una sentenza di assoluzione.
Conosciuto più negli Stati Uniti che in Italia, Maltoni è stato un gigante della ricerca sulla cancerogenesi ambientale e della prevenzione oncologica che, dopo una lunga esperienza negli ospedali pubblici, fondò, presso il Castello Bentivoglio (“la mia fortezza anticancro”), l’Istituto Ramazzini (in omaggio a Bernardo, fondatore della medicina del lavoro e suo punto di riferimento) e l’Hospice Seragnoli, la prima struttura italiana per le cure palliative.
Vivere, che rischioAttraverso le testimonianze dei collaboratori più stretti e di alcuni pazienti, Vivere, che rischio ripercorre il percorso professionale di un medico volitivo e indipendente, rispettato dalla comunità ma col tempo sempre più isolato (“massoni o baroni”, diceva a proposito dei colleghi), prima organico al laboratorio politico della Bologna comunista nei primi anni Sessanta e in seguito ritenuto incontrollabile non essendo disponibile ad assecondare gli interessi dei più forti.
Una storia personale che riesce a staccarsi dalla semplice ricostruzione biografica per porsi soprattutto come una riflessione su quale sia davvero la missione della sanità pubblica. Al contempo, Mellara e Rossi indagano nelle pieghe esistenziali di un uomo votatosi all’aiuto dei più deboli, ostinato e umanissimo anche nelle debolezze, e tuttavia misterioso, pieno di ombre: come dice la dottoressa Fiorella Belpoggi, viveva la “solitudine inquietante di una doppia vita”.
Grazie alla voce di Luigi Danina che restituisce la schietta umanità, la fragilità addomesticata, la complessità caratteriale di Maltoni, Vivere, che rischio è un omaggio necessario a un pioniere del Novecento.