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Viola di mare
Le premesse per il disastro c'erano tutte: una storia d'amore saffico ambientata nella Sicilia di fine ‘800, prodotta da Maria Grazia Cucinotta e diretta da una regista per lo più televisiva come Donatella Maiorca, rischiava seriamente di trasformarsi in una fiction buonista e scontata sull'accettazione dell'omosessualità. E in effetti l'inizio di Viola di mare, non lascia ben sperare. Non solo non viene sfruttata la ricchezza di suggestioni offerta dalla bellissima location naturalistica, ma tutta la messa in scena soffre di un senso generale di confusione in cui tutto si muove nervosamente, quasi a voler mettere in piedi uno stile pseudo documentaristico non congeniale al pathos richiesto da un racconto che si vorrebbe prima d'amore che di denuncia sociale. Molti degli interpreti sembrano poi insicuri e ingessati in ruoli che sfiorano la macchietta (vedi lo scontatissimo padre padrone di Ennio Fantastichini e la leggiadra pulzella di Isabella Ragonese), anche se il tutto viene compensato dalla buonissima prova d'attore di Valeria Solarino, sicuramente mai stata tanto convincente sul grande schermo.
Quando però la speranza riguardo all'esito del film è quasi perduta, il prologo si conclude e finalmente comincia l'azione, vale a dire il tormentato rapporto lesbico tra le due donne protagoniste, prima osteggiate dalle famiglie e poi costrette a una ridicola e orribile finzione: trasformare una delle due, Angela (Valeria Solarino) in Angelo, vestendola da uomo e cambiandole il nome con la complicità del parroco del paese. Da questo punto in poi le cose migliorano e cominciano a trovare un loro senso perfino gli stucchevoli montaggi alternati e la colonna sonora rock - bella, ma completamente fuori contesto - di Gianna Nannini. A tenere le redini del film, oltre alla sceneggiatura e al soggetto già di per sé molto forti, sono soprattutto Ragonese e Solarino, che danno ai loro personaggi quell'umanità e quel soverchiante senso di dolcezza e normalità che sono la forza dell'intera operazione.
Viola di mare, tratto dalla storia vera raccontata nel romanzo Minchia di re di Giacomo Pilati, è quindi tutt'altro che un film perfetto. Pur soffrendo di una regia dallo sguardo angusto, riesce però a raggiungere picchi di intensità insperati e, cosa più importante, non manca il suo obiettivo originario, cioè rompere molti tabù riguardo all'omosessualità e alla sua rappresentazione.