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Ci sono documentari che servono a far conoscere, a rivelare e scoprire, anche a spaventare e agghiacciare. E poi ci sono documentari che mettono in crisi. Vincenzo da Crosia, nuova opera di Fabio Mollo (Il sud è niente) presentata tra i documentari italiani del Torino Film Festival, fa parte di questa categoria.
Il protagonista, il ragazzo del titolo, è Vincenzo Fullone, che quando aveva 14 anni a Crosia, in Calabria, vide una statua della Madonna piangere e da quel momento per circa 25 anni ebbe continue visioni ed esperienze che coinvolsero anche l'intera comunità cattolica: ma Vincenzo è tutt'altro che "un'altra Bernadette". Mollo racconta la vita di quest'uomo che da un'infanzia peggio che difficile è arrivato a contatto con l'estasi seguendo il duplice binario degli eventi mistici e della formazione personale di Vincenzo.
Da una parte Mollo utilizza i numerosissimi filmati amatoriali che da quel 1987 hanno accompagnato in modo quasi ossessivo le azioni e le visioni del ragazzo per raccontare il contrasto tra la sincerità e il dolore di Vincenzo e le reazioni, scettiche o fanatiche, di chi lo circondava, andando a creare in sottotesto anche una riflessione sul potere delle immagini sacre e profane, su nastro o pixel oppure quelle più vivide della percezione sensoriale. Ma soprattutto, è attraverso le parole e le confessioni di Vincenzo in persona che Mollo riesce a compiere il percorso del film, raccontando il cammino di un uomo a dispetto di tutti, il cui rapporto con la Madonna serviva a lui e lui soltanto, a capire chi essere e come essere, a cercare la propria via all'essere uomo, consapevole che "L'unico peccato è l'assenza d'amore".
E' qui che Vincenzo da Crosia mette in crisi lo spettatore e le sue certezze: gli atei saranno costretti a reprimere le ironie facili, commossi dalla sincerità con cui il bisogno psicologico e l'estasi si sono trasformati in consapevolezza di sé; i credenti al contrario dovranno affrontare la scioccante crudezza dei video della passione rivissuta settimanalmente da Vincenzo e fare i conti con atti di fede oltre le medie capacità umane, oltre a riflettere anche sull'utilizzo "politico" che la chiesa e le comunità fanno di certi eventi e certe persone. Mollo riesce a inquietare, stimolare e sorprendere raccontando una vita la cui storia è tanto incredibile da non poter che essere vera. E per questo fertilmente ambigua.