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Victoria
Accolto con entusiasmo dal pubblico il film del tedesco Sebastian Schipper, Victoria, presentato al terzo giorno di concorso della Berlinale: la storia di una rapina raccontata in un solo pianosequenza di 140 minuti. Victoria è una giovane spagnola (Laia Costa, ottima) poco più che ventenne, appena trasferita a Berlino, come i ventimila suoi connazionali all’anno. Victoria conosce quattro giovani berlinesi doc, (Frederick Lau, Franz Rogowski, Burak Yigit e Max Mauff) all’uscita di un club. Un incontro come tanti. Victoria però si ritrova, al finire della notte, coinvolta in una rapina all’ultimo respiro. Una Berlino per così dire all’incontrario, non la capitale scintillante amata dai giovani di tutto il mondo, ma terra di nessuno, far west metropolitano violento e spietato.
Una pellicola che corre veloce sul solco del gangster movie americano anni settanta. Certo trasportare nella Berlino di oggi quel genere così specifico di uno spazio e di un’epoca è una sfida difficile. Al regista Schipper e al suo cameraman Sturla Brandth Grøvlen riesce tuttavia di non perdere il filo del racconto e creare momenti di intensità, per esempio sopra il tetto di una casa, sotto il cielo stellato, con la camera sui volti di quattro giovani disperati e ubriachi. Victoria comunque fa restare incollati alla sedia fino all’ultimo respiro e riesce quindi nel suo intento. Degna di nota a sé l’attrice Laia Costa. Non può non venire in mente Jean Seberg al fianco di Jean Paul Belmondo in Fino all’ultimo Respiro (1960). La ragazza della porta accanto (ma bellissima) che diventa sensazionale oggetto di desderio. L’unica a non avere pose, quella che rifiuta la sigaretta continuamente offerta, l’unica che ha un piano per uscire, vivi, dall’impossibile vicenda in cui i cinque si ritrovano catapultati. Non c’è dubbio, Victoria convince molto di più del primo film tedesco presentato al concorso del Festival di Berlino, il deludente drammone hollywoodiano Queen of The Desert di Herzog.