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E' una tendenza della cultura e dell'intrattenimento recenti rileggere classici letterari da prospettive e punti di vista diversi, se non opposti da quelli noti: se Mary Reilly raccontava il dottor Jekyll e Mr. Hyde attraverso la governante, se Orgoglio e pregiudizio e zombi si divertiva a trasformare la Austen in un horror, Paul McGuigan racconta con Victor – La vera storia del Dott. Frankenstein la versione che del romanzo di Mary Shelley ne darebbe Igor, l'assistente del dottore.
Che diventa un clown gobbo del circo dal particolare talento medico e scientifico che il dottor Frankenstein salva dalle grinfie del suo padrone; ma la scoperta del genio del dottore sarà accompagnata dalle rivelazioni sui suoi folli progetti di riportare in vita esseri morti e contrastata dall'amore per l'ex-trapezista a cui ha salvato la vita.
Scritto da Max Landis, tra gli sceneggiatori emergenti di Hollywood, Victor – La vera storia del Dott. Frankenstein cerca di rendere la vicenda nota in chiave contemporanea, cercando di replicare il lavoro di Guy Ritchie (da sempre il faro che guida il cinema di McGuigan) su Sherlock, ma l'operazione fallisce per molti fattori.
A partire dall'incipit fatto di trovate grafiche e visuali in stile CSI e da un tono quasi scanzonato, è evidente che il regista cerchi di accalappiare un pubblico più giovane e smaliziato, conoscitore delle nuove serie televisive più che dei classici Universal e così facendo gioca di scientismo, ralenti e trucchetti. Ma rispetto ai film di Ritchie manca innanzitutto la leggerezza – non necessariamente l'ironia che si addice poco al Promoteo moderno – ma la capacità poetica e stilistica di trasformare il grottesco e di non renderlo ridicolo o grossolano, oltre a una tensione narrativa e a un ritmo che possa sostenere le quasi due ore di durata.
Ponendosi quasi come un prequel, Victor sembra diluire la propria portata, cercando lo spettacolo grandioso che invece la mancanza di passione registica rende semplicemente tronfio, impossibile da nobilitare anche per gli attori che si trovano a gigioneggiare senza tregua (James McAvoy) o a perdersi in ruoli poco adatti (Daniel Radcliffe, piuttosto improbabile). Un'operazione che punta al post-moderno o semplicemente ad adattarsi ai gusti giovanili, ma che finisce senza centro e probabilmente senza pubblico.