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Vacancy
Un viaggio notturno. La macchina in panne, su una stradina secondaria. L'unica possibilità per attendere il ritorno del giorno è quella di prendere una camera del poco ospitale motel lì a qualche centinaio di metri. Sarà così che una coppia in crisi scoprirà che in fondo, di fronte alla morte, il loro amore non è del tutto svanito. Soli, e al tempo stesso uniti, per evitare con tutte le forze di finire protagonisti in un terrificante snuff movie. Nimród Antal aveva già dimostrato di saperci fare, dietro la macchina da presa. Il precedente Kontroll, claustrofobico action movie ambientato nei sotterranei della metropolitana di Budapest è ancora lì a dimostrarlo. Tornato in madrepatria (è nativo di Los Angeles, trasferitosi in Ungheria nel 1991), mantiene inalterato il gusto per una regia d'effetto e iperdinamica, dove l'orrore che investe i due protagonisti - non memorabili né Luke Wilson alla prima prova altamente drammatica, né Kate Beckinsale - è reso ancor più sfibrante dagli spezzoni dei rivoltanti video realizzati prima del loro arrivo nella camera del motel. Apparentemente grossolano buco di sceneggiatura, il fatto che i due malcapitati si imbattano in quelle videocassette, efferate registrazioni di sangue e morte, non fa altro che catapultare lo spettatore (e i protagonisti stessi) in un incubo con poche probabilità d'uscita. Ed è proprio da qui, se si vuole, che il lavoro di Antal si trasforma, guadagnando in linearità ma perdendo progressivamente in colpi a sorpresa. Che diventano purtroppo dozzinali, sul finale, quando un improbabile happy ending compromette in maniera irrimediabile la riuscita complessiva del film. L'equazione motel/Psycho è ovviamente a portata di mano, ma ritrovare il "vecchio" Brett (Frank Whaley) di pulpfictioniana memoria (l'allora ragazzetto su cui si accaniva Samuel L. Jackson con il sermone mattiniero) nei panni di un novello Norman Bates - meno misterioso ma molto, molto più ignobile - non ha davvero prezzo.