Mai fidarsi di un trailer. Spesso ci dà un’idea di un tipo di film che andremo a vedere, che poi si rivela se non tutt’altro, un’interessante variazione sul tema. Succede con Uno Rosso, l’ultima fatica cinematografica di Jake Kasdan, dal 7 novembre al cinema con Warner Bros. Il regista si è fatto notare per aver diretto il reboot/sequel di un classico come Jumanji con grande maestria.

Non citiamo a caso questi precedenti lavorativi perché proprio dagli ultimi ritrova Dwayne ‘The Rock’ Johnson. Un nome, una garanzia oramai quando si tratta di progetti esagerati a livello spettacolare: eppure l’ex wrestler ora attore ha un grande cuore e un’innata gentilezza sotto tutti quei muscoli, che sono parte del merito della riuscita di questo progetto.

Il trailer, dicevamo, faceva passare l’idea di una pellicola caciarona e priva di spessore, pronta a sprecare il cast altisonante che si ritrovava tra le mani. Per fortuna non è così e, sebbene il film soffra soprattutto nella seconda parte, intrattiene e a suo modo sorprende, riempiendosi di un significato anche profondo.

Di bambini che non credono a Babbo Natale e che potrebbero ricredersi da adulti sono pieni i film delle festività, ma la particolarità di Uno Rosso è che il protagonista reduce da un’infanzia disillusa è diventato un ladro, un hacker e un segugio provetto, tanto che potrebbe essere la causa e la soluzione di un problema apparentemente insormontabile: il rapimento di Babbo Natale a poche ore dalla vigilia e dalla consegna impossibile dei regali in tutto il mondo.

Il Polo Nord che di solito appare come magico mantiene la propria aura ultraterrena ma diventa il corrispettivo spionistico e action: c’è spazio quindi per botte da orbi – ma non quelle sanguinolente di Una notte violenta e silenziosa – piene di coreografie e stunt. C’è spazio anche per una gestione dell’Uno Rosso del titolo come se fosse il Presidente degli Stati Uniti.

Con tanto di guardia del corpo di due metri che è anche il capo degli elfi e ha molto a cuore la notte più importante dell’anno. Proprio da lui e dalla sua volontà di ritirarsi “perché al mondo non interessa più essere buono” parte forse la parte più interessante del film, che aveva caratterizzato anche i precedenti lavori del regista: il cuore.

Uno rosso
Uno rosso

Uno rosso

Per un film di Natale dovrebbe essere l’ingrediente base, ma come sappiamo bene soprattutto negli ultimi anni in cui le idee originali vanno sempre più esaurendosi, spesso diventa qualcosa di stucchevole e artificioso. Qui invece lo spirito natalizio c’è tutto e, nei giorni della vittoria di Trump alle elezioni americane e nel periodo storico in cui viviamo, caratterizzato da guerra, crisi economica e violenza in ogni dove non possiamo non ripensare alle parole dell’elfo gigante.

Parole che rimarcano come la lista dei cattivi abbia superato di gran lunga quella dei buoni, come gli adulti abbiano definitivamente perso il proprio fanciullo interiore, come vada quasi di moda e “cool” essere cattivi. Riusciamo proprio a leggerci uno sguardo disilluso sui nostri tempi, ma che allo stesso tempo vuole trovare qualcosa di nuovo in cui credere. E se fosse proprio Babbo Natale?

Uno Rosso è indubbiamente un prodotto filmico sfilacciato, che ha un inizio quasi folgorante che fa entrare subito dentro i personaggi e la storia raccontata ma che poi, nel secondo e terzo atto, rallenta il proprio ritmo complice una durata (due ore) non necessaria. Alcune situazioni si ripetono, la CGI la fa un po’ troppo da padrona invece di sfruttare qualche suggestivo ambiente artico e le coreografie action sono particolarmente classiche.

Il cast però è la sua forza motrice, a partire dal sempre adorabile Chris Evans fino alla combattiva Lucy Liu. Si rivela così una pellicola a cui, alla fine dei titoli di coda, non si può non volere bene perché ha saputo scaldarci il cuore. E di questi tempi, c’è n’è sempre bisogno.