Forse ha ragione chi sostiene che il cinema italiano sia più a suo agio con la nostalgia che con la fantasia. E se per i personaggi il passato è soprattutto una terra straniera, in cui scontrarsi con i fantasmi e fare i conti con il dolore, per gli autori, invece, sembra sempre di più un porto sicuro per ritrovare un’epoca idealizzata, quando tutto sembrava più bello e meno faticoso.

È una sensazione che emerge anche di fronte a una serie come Un’estate fa (otto episodi prodotti da Sky Studios e Fabula Pictures in esclusiva su Sky e in streaming su NOW), che trova cittadinanza nel genere ma sembra quasi usare il giallo come pretesto per tessere una tela narrativa piena di grovigli e detour, con i frammenti dell’estate dei “motorini sempre in due” e delle notti magiche che si incastonano nel cupo, umido, angoscioso inverno del nostro scontento. In fondo ce lo spiegava già Domenico Rea nel romanzo e poi Mario Martone nel film: la Nostalgia è una mascalzona, perché induce a immaginare i ricordi non per come sono andati davvero ma per come abbiamo deciso di ricordarli.

Protagonista è Elio (Lino Guanciale da cinquantenne, Filippo Scotti da adolescente), avvocato benestante la cui vita viene sconvolta dal ritrovamento del cadavere della ragazza di cui era innamorato nel 1990, Arianna (Antonia Fotaras), sparita durante una vacanza in campeggio. Per lo scontroso commissario (Paolo Pierobon) è il primo dei sospettati ed Elio, si mette alla ricerca degli amici di un tempo (tra cui Claudia Pandolfi, sempre la più brava) ma è talmente sconvolto che ha un incidente in auto, perde i sensi e al suo risveglio si ritrova diciottenne, nell’infermeria del campeggio e con la coscienza di un adulto.

Filippo Scotti e Antonia Fotaras in Un'estate fa
Filippo Scotti e Antonia Fotaras in Un'estate fa

Filippo Scotti e Antonia Fotaras in Un'estate fa

Sulla carta la serie costeggia il metafisico, eppure nei fatti l’indagine tra ieri e oggi, memoria e sogno, vita e morte si edifica su una sola, vera, forte idea visiva: l’idealizzazione di quell’estate, quella di Italia ’90, combacia visivamente con la festa malincomica di Notte prima degli esami (le partite in televisione, i falò in spiaggia, le cabine telefoniche, le sfide a calciobalilla, le videocassette) ma ne rivela il lato oscuro, tra divari sociali (il potere del Pentapartito e l’euforia reaganiana, i giovani festaioli e le ragazze “sacrificabili”) e deviazioni tossiche (il rapporto con le droghe), scoprendo nel repertorio musicale non tanto la restituzione di un’epoca quanto il suo controcanto (Bette Davis Eyes, Take on me, Enjoy the Silence, The Power of Love, Amore Disperato sono pezzi della colonna sonora e voci del passato che rincorrono i sopravvissuti).

E forse non è un caso che a dare il titolo alla serie e fare da brano-guida è la cover di Une belle histoire di Michel Fugain, tradotta in italiano da Franco Califano nel 1972: qualcosa che appartiene al passato dei personaggi, manifesto nostalgico per eccellenza che rilegge tutta la storia al crocevia tra romanticismo sommerso e thriller inquietante (“L’autostrada della vacanza segnerà la tua lontananza”: la reinterpreta, in una versione suggestiva, Francesca Michielin con gli Altarboy).

Creata da Michele Alberico (all’attivo anche L’estate sta finendo, che metteva l’amicizia alla prova dell’incubo) e Massimo Bacchini (lunga carriera nella serialità soprattutto Rai), diretta da Davide Marengo (uno che sa cogliere il perturbante nel leggero) e Marta Savina (che sa mettersi accanto ai personaggi), a Un’estate fa manca un po’ di mordente, di equilibrio, di esercizio dello stupore.