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L’allusione è esplicita, l’orizzonte è lo stesso. Tra horror e fantascienza, Kristen Stewart, modellata esplicitamente sull’icona della Sigourney Weaver di Alien, è l’eroina di Underwater. Sulla carta, avvincente avventura sott’acqua in cui l’equipaggio di un’operazione mineraria deve affrontare le devastanti conseguenze di un terremoto e inaspettate minacce.
Se queste ultime fanno l’occhiolino naturalmente al capolavoro di Ridley Scott per ribrezzo e paura, lo smarrimento nell’ignoto spazio profondo marino non può che ricordare la tensione suscitata da The Abyss di James Cameron. È, in fin dei conti, un b-movie derivativo, Underwater, diretto dalla già promessa indie William Eubank su sceneggiatura di Brian Duffield (rivista da Adam Cozad).
Un film in bilico tra i generi, dallo sviluppo un po’ elementare nonostante le diverse traiettorie tra piani temporali. Nell’arco di un’ora e mezza cerca di avvincere lo spettatore incrociando l’ancestrale terrore per l’imponderabile e l’angoscia della solitudine, la corsa a perdifiato verso la sopravvivenza e le latenti pulsioni romantiche.
Benché metta al servizio del film la propria fisicità androgina e vulnerabile, Stewart appare poco convinta. Si percepisce un vago disagio, magari dovuto al ritorno in una grossa produzione dopo alcune esperienze meno pop (Sils Maria, Personal Shopper, JT Leroy, Seberg). Forse per quest’attrice refrattaria ai cliché e per molti versi ancora sfuggente macchine produttive così grandi non sembrano adatte. Lo dimostra, tra l’altro, il sostanziale flop del nuovo Charlie’s Angels.
Per quanto possa impegnarsi sul versante muscolare, resta più efficace quando fa i conti con la paranoia e la memoria. Un registro intimista in cui modula meglio il tema della sopravvivenza in interno claustrofobico, dando voce al conflitto interiore con fantasmi troppo ingombranti.
È chiaro che la presenza di Stewart – con tutto ciò che comporta l’impiego della sua figura anche sulla superficie dell’immagine – sia funzionale alle vibrazioni femministe di una storia. Una parabola dominata da una donna disposta al sacrificio personale è delegata la salvezza di tutti.
Ma non è l’unica sfumatura impegnata di un film che accenna anche all’indecenza dello sfruttamento delle risorse naturali. Senza però poi approfondire come il conflitto tra l’uomo predatore e la natura ribelle si ribalti nella lotta tra natura ostile (nella forma dei mostri) e uomini resistenti (non mancano le vittime).
Intrattenimento più pasticciato che spettacolare, in Underwater non manca solo lo spirito dell’epica. A mancare è anche un reale coinvolgimento nella temeraria ipotesi distopica postulata da un film che si rivela suo malgrado troppo innocuo per appassionare.