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Under Paris, credits Netflix
Il regista francese Xavier Gens ha conosciuto la sua età dell’oro all’inizio del Duemila, quando pose un tassello fondamentale nella costruzione del nuovo horror francese: Frontiers del 2007, perla nera di confine sulla xenofobia e razzismo, sull’avanzata dell’estrema destra che genera mostri. Esaurito presto quel movimento, però, si è rifugiato in territori più consueti e approdi sicuri. Come il film Netflix Under Paris, titolo originale Sous la Seine, cioè “sotto la Senna”, valorizzato dalla presenza divistica di Bérénice Bejo. Si tratta di uno shark movie, genere rilanciato ultimamente al cinema dai due Shark (The Meg), ma qui cucito strategicamente sul presente ovvero calato nell’era dell’ambientalismo.
La protagonista Sophia Assalas, appunto Bejo, è una scienziata che studia il comportamento degli squali. Nel teaser, prima dei titoli di testa, appuriamo già la situazione tragica: nello scenario del Pacifico gli animali marini sono ormai falcidiati dagli oggetti di plastica che ingoiano, il cosiddetto settimo continente. La catastrofe climatica è in atto. La donna segue da vicino uno squalo mako femmina, Lilith, la quale però diventa feroce e aggressiva sino a provocare il classico incidente che conduce alla mattana dei ricercatori, tutti esclusa Sophia. Ellissi. Siamo a Parigi qualche anno dopo, dei giovani ambientalisti fanno una scoperta sconcertante: c’è un enorme squalo che nuota nella Senna… Si rivolgono proprio a Sophia, traumatizzata e fuori dal giro, per cercare di intervenire subito, anche perché proprio nella capitale sono previste a breve le gare di nuoto olimpioniche, che rischiano di trasformarsi in un lato pasto per la bestia.
Il racconto inizia con una citazione in esergo di Charles Darwin, il noto aforisma per cui non sopravvive la specie più forte o intelligente, ma quella che si adatta meglio al cambiamento. L’uomo è quindi messo male. Anche nella Senna, d’altronde, vengono ripescati gli oggetti più svariati come i monopattini, l’ambiente è sull’orlo del disastro. Sophia dovrà recuperare tutte le sue abilità per affrontare il “mostro” che, scopriamo, si riproduce per partenogenesi senza il maschio e dunque può creare una nuova stirpe di squali adattati che infesta i nostri fiumi; del resto la mostruosità è dovuta unicamente all’egoismo distruttivo dell’uomo, che ha creato tali condizioni. Ma inutile girarci troppo intorno: uno shark movie che si rispetti si vede soprattutto per la resa dello squalo, per la devastazione seminata dall’orrido pesce. Qui la rappresentazione barcolla vistosamente, proponendo la bestiona digitale che con salti vertiginosi addenta la preda e la divora.
Xavier Gens non ha l’umiltà del B-movie e si prende troppo sul serio con uno squalo patinato. Per la verità, un paio di momenti insanguinati il regista li azzecca, nel percorso verso il climax finale, ossia la gara di nuoto. A quel punto la storia esplode, letteralmente, brutalizzando i ponti di Parigi e disegnando una nuova cartografia distopica della città, con le pinne che spuntano dalla Senna. Il maggiore punto di interesse resta però il discorso ecologista: da sempre e per sempre l’uomo è l’animale più pericoloso. Così il film di genere si arrende allo spirito del tempo, si consegna ad esso e smarrisce la bellezza della carneficina. Per un horror climatico davvero profetico: rivedere The Last Winter di Larry Fessenden.