Un film con Isabelle Huppert è sempre un film di Isabelle Huppert, ancorché per la terza volta in dodici anni si ritrova filmata da un regista inconfondibile come Hong Sang-soo. Huppert, che è un’attrice prolifica fino all’esasperazione (poco meno di venti ruoli accreditati dal 2020 a oggi), ha una padronanza del mezzo senza eguali e sa perfettamente quando deve sobbarcarsi il peso di un’intera produzione garantendole credibilità e spessore. Quando, invece, si ritrova con un autore limpido e solido come Hong (un altro cineasta a dir poco fecondo), sembra essere la prima a divertirsi e a uscire dallo scafandro della grande diva europea.

Come i precedenti In Another Country e La caméra de Claire, anche Una viaggiatrice a Seoul (a Berlino 2024 ha vinto l’Orso d’Argento, il quarto in carriera per Hong) consacra il connubio tra attrice e regista come tra i più interessanti nell’esplorare il rapporto tra motion ed emotion, movimento ed emozioni, nei termini di una corrispondenza che elegge le immagini a lingua franca con la quale comprendersi al di là delle parole.

Insegnante francese piombata a Seoul, Iris (cioè Huppert o viceversa) è misurata ed enigmatica: come una novella Alice (nella città), sa che per ritrovare se stessi non si può che viaggiare in terra straniera e si imbatte in una serie di incontri casuali che mettono in discussione la sua vita.

Una viaggiatrice a Seoul
Una viaggiatrice a Seoul

Una viaggiatrice a Seoul

Questo percorso personale, sospeso tra diario di viaggio e commedia surreale, viene esaltato da una regia essenziale (poche scene, inquadrature fisse, movimenti minimi, fiducia nel digitale) che contempla la sua protagonista tenendola nascosta in piena vista. Come Huppert sfugge allo sguardo altrui come un fantasma, tiene le distanze dall’intimità, gioca con le aspettative altrui, così Hong ne sa evocare una dimensione quasi ectoplasmatica, eludendo le certezze quanto l’urgenza di offrire le risposte più semplicistiche (Iris esiste? Quel che vediamo è reale?).

Ennesima variazione del tipico minimalismo di un autore abituato a sottigliezze impercettibili, Una viaggiatrice a Seoul (A Traveler’s Needs, i bisogni del viaggiatore, nel titolo internazionale, più acuto e preciso) si prende i suoi tempi, trova la nitidezza di un racconto stratificato, illumina le cose della vita con la serenità di chi sa che c’è qualcosa oltre la superficie. E Hong sa di poter contare su un’attrice capace di incaricarsi di quella leggerezza con l’autorevolezza di chi, da interprete, può accreditarsi alla pari di chi la sta osservando.