PHOTO
Una storia nera
Leonardo D’Agostini sa dirigere, Laetitia Casta ha un suo carisma, la trama funziona (all’origine c’è il romanzo omonimo di Antonella Lattanzi): ma allora cosa c’è che non va in Una storia nera? Niente, forse tutto.
Il suo limite sembra coincidere con quello che dovrebbe essere un punto di forza, cioè la linea editoriale, la confezione, l’adesione a un modello: che sia arrivato il momento di ragionare sull’estetica – e sui risultati – di Groenlandia, la casa di produzione di Matteo Rovere e Sydney Sibilia? Chi può dirlo, certo è che tra le righe dei tanti titoli realizzati negli ultimi anni, dalle commedie (i film di Sibilia e Simone Godano, Settembre) alle variazioni del genere (Il primo re, La belva, Delta, Come pecore in mezzo ai lupi) fino alle serie (La legge di Lidia Poet, Romulus, Supersex), c’è una retorica comune, dove il repertorio – spesso originale, talvolta elettrizzante – di storie ad altezza glocal (il che è meritorio, altroché) si configura tuttavia in una serie di scelte che finiscono per far sconfinare la coerenza della “politica dello Studio” nella monotonia del “cliché da Studio”.
Parliamo di un tessuto sonoro che da immersivo si scopre invasivo, una scrittura che svela improvvisamente l’impalcatura teorica, una confezione così definita e “giusta” per il genere convocato all’occorrenza da risultare in fondo anodina. Qui D’Agostini – il cui esordio del 2019, Il campione, oltre alla freschezza narrativa sapeva unire la precisione del contesto e un tono da commedia malinconica – recupera il passato crime (ha sceneggiato parecchie fiction), flirta con il noir, annusa il thriller, costeggia la tragedia familiare, si concede al legal drama, ma sembra diluire la propria personalità tanto da far sembrare la sua opera seconda anzitutto un nuovo capitolo di un discorso produttivo sui generi.
Il romanzo di Lattanzi (che mise mano alla sceneggiatura del Campione: chiusura del cerchio) fa da palinsesto: Carla (Casta, che capitalizza l’aria da expat) si è separata da Vito (Giordano De Plano, una garanzia anche quando sottoutilizzato), un uomo geloso e violento da cui ha avuto tre figli (i più grandi sono Andrea Carpenzano e Lea Gavino) e ha una nuova relazione (Mario Sgueglia). Quando la figlia più piccola chiede di avere il padre accanto a sé il giorno del suo compleanno, Carla, per farla felice ma con il cuore pesante, lo invita a cena: l’indomani l’uomo sparisce nel nulla, partono le indagini, l’ex finisce nei guai.
A volte è anche una questione di tempistiche e Una storia nera non regge il confronto con Anatomia di una caduta, a cui somiglia per temi e suggestioni, malgrado la fase processuale sia restituita con una tensione inedita per il cinema italiano (la pm è Cristiana Dall’Anna, la giudice Claudia Della Seta: la ricerca della verità è affare di donne). Il meglio lo dà in quell’aula e in certi momenti con Carpenzano e Gavino, testimoni e vittime (e non solo) come tutti i figli della violenza: in un giallo non è un problema se a contare è più il come che il cosa, le atmosfere spesso sono più utili dei dati, ma a Una storia nera manca un po’ di nerbo e autonomia.