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Sandrine Kiberlain e Vincent Macaigne in Una relazione passeggera
28 febbraio. Ci getta subito in medias res Emmanuel Mouret, nel bel mezzo di un (nuovo) incontro tra Charlotte (Sandrine Kiberlain) e Simon (Vincent Macaigne). Più sciolta lei, ingessato lui, capiamo che i due stanno delineando i contorni di un’ipotetica liaison clandestina.
Madre single la donna, lui sposato con due figli, si impegnano a vedersi solo per il piacere e a non sperare in alcun sentimento amoroso, senza aprire alcuna porta al futuro. Andando avanti, però, vengono sempre più sorpresi dalla loro complicità, dalla loro alchimia e dal benessere che provano nello stare insieme.
Saltando di appuntamento in appuntamento, Una relazione passeggera – ospitato a Cannes 2022 in Premiere, ora in sala dal 16 febbraio con Movies Inspired – crea una sorta di flusso ininterrotto di parole e movimenti, che Mouret è bravo a fingere di voler imprigionare dentro ogni singolo momento che la narrazione stabilisce di mostrare.
Di settimana in settimana, di mese in mese (ogni incontro è introdotto dal cartello o dalla sovraimpressione di una data), l’incedere di questa relazione va di pari passo con lo sviluppo suggerito dei due protagonisti – più pragmatica e fatalista la Charlotte della Kiberlain, sempre in bilico tra l’impacciato e il frenato il Simon di Macaigne, attore che ancora una volta sa stupire per la disinvoltura con cui sa creare maschere governate dalla frenesia di un sentire che sembra non poter trovare spazio nel campo dell’azione –, di fatto personaggi che esistono in un modo (quando sono in campo, ovvero quando li vediamo noi e quando vivono la relazione) e che possiamo solamente immaginare al di fuori di quella parte d’esistenza.
Non vedremo mai la moglie o i figli di Simon, stesso dicasi per i tre figli di Charlotte: l’unica cosa che conta sono i momenti in cui i due amanti si incontrano, saranno in grado di mantenere quella promessa stabilita al primo appuntamento? E per quanto tempo? Può esistere il piacere senza l’esternazione di un sentimento? Per quanto può durare una relazione che – come auspicato dalla donna – non si sottomette al giogo della passione?
Il regista di Les choses qu'on dit, les choses qu'on fait e Cambio di indirizzo predilige ancora una volta la leggerezza di dialoghi e situazioni che non contemplano isterie e scene madri, prosegue nel solco tracciato dai vari Rohmer e Truffaut, con qualche divagazione alleniana, cattura e lascia liberi i suoi personaggi nel gioco di contro-luce che delineano le sagome di corpi ora vicini e un attimo dopo distanti, inseguendone nuovamente gli stati d’animo con rapidi movimenti di macchina verso la nuca, quasi a volerli sorprendere insieme al nostro sguardo.
D’altronde, come spiega lo stesso Mouret, "la sfida della mia messa in scena è trovare l’equilibrio tra ciò che viene nascosto e ciò che viene rivelato, in modo che l’attenzione e l’immaginazione dello spettatore siano sollecitate di continuo". Una sfida senza dubbio vinta, con tanto di omaggio alle Scene di un matrimonio bergmaniane, antipasto di un finale che “libera” finalmente i due protagonisti dal nostro sguardo. Per poter correre via, ancora una volta, che sia l’ultima o meno poco importa.