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Una barca in giardino
Che affezione, questa animazione. Del francese Jean-François Laguionie, probabilmente, avrete visto almeno uno tra La tela animata, Le stagioni di Louise e Il viaggio del principe: se non l’avete fatto, recuperate, meritano per gusto e sostanza.
Stavolta, dopo il battesimo a Cannes e il passaggio ad Annecy, le sale italiane ne accolgono Una barca in giardino (Slocum et moi), che racconta formazione, infanzia, paternità con delicatezza di tratto e modestia di incanto. La macchina da presa è ad altezza di bambino che cresce, di figlio che s’emancipa, di sogno che s’impratichisce: insomma, di falegnameria che desia il mare aperto, di artigianato che guarda all’infinito – forse per conto terzi.
Un viaggio intimo e poetico che al cartoon, per colori e matita sola, chiede di modellare il coming of age, di perfezionare la dramedy formato famiglia, di tenere la barra dritta all’umanesimo. Ve lo ricordate il fanciullino, e il lessico familiare e gli ovunque poetici legami genitori-figli? Qui li trovate condensati, invero senza pressione né troppa frizione, nelle convergenze parallele tra il ragazzino François e il padre – i figli sono di chi li cresce – Pierre nel dare replica a una famosa imbarcazione nel giardino di casa.
![](https://www.cinematografo.it/image-service/version/c:ZTk0ZWNlMGItNGUxOS00:MWY2MTJjM2UtNWIxMi00/cinecittanews-3.webp?f=3x2&q=0.75&w=3840)
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Epica a scarto ridotto, affetti timidi, avventure nell’aia, Una barca in giardino sublima in sordina l’italianissimo spauracchio del dramma due camere e tinello (con vista gasometro) nella sintassi delle piccole cose, ancorché grandi come una barca, simboliche praeter necessitatem: E la nave va, voleva Fellini, e questa barca rimane, con un surplace nell’ignoto.
La copia è conforme, che Pierre rifà il leggendario Spray di Joshua Slocum, il primo a compiere il giro del mondo in solitaria a bordo di una barca a vela, ma originale, ovvero universale, è il passaggio, perfino il periplo, di François dall'infanzia all'adolescenza, nella Francia del dopoguerra.
C’è anche la madre, cui Laguionie non cambia il vestito al mutar delle stagioni, e un’amica androgina a render più dolce e sottile la transizione dal segno alla vita di questa animazione assertiva e pudica, umile e fantasiosa, iterativa e immaginifica: la meta è il viaggio, al solito, e non serve una barca, bensì il sogno di compierlo. Seguendo una rotta, anche padre-figlio, in cui poco è molto, anzi, tutto: lasciatevi trasportare per mari, pardon, per aie dall’ottantacinquenne Laguionie, un maestro che non ha smesso di stupirsi. E stupire.