Til Schweiger raddoppia il suo Honig im Kopf (2014) trasponendolo in lingua inglese, forse con alte aspettative (il film originale era stato un successo al botteghino tedesco)… ma bassi risultati.

Un viaggio indimenticabile racconta infatti la storia di un nonno affetto da Alzheimer e della sua mirabolante vita in compagnia dell’affettuosa nipotina.

Ma quella che avrebbe potuto essere una storia delicata si trasforma in un pasticcio che esibisce una patinatura mielosa (è lì che è finito il “miele” che compare nel titolo originale?), un umorismo discutibile e risulta ripetitivo nelle sue gag esagerate. Viaggio indimenticabile, film dimenticabile.

 

Amadeus (Nick Nolte) è un nonno di 76 anni che dopo la morte della moglie manifesta in maniera sempre più evidente sintomi dell’Alzheimer. Ormai non più in grado di vivere da solo nella sua casa negli Stati Uniti, si trasferisce a Londra dal figlio Nick (Matt Dillon) e da sua moglie Sarah (Emily Mortimer), genitori di Tilda, una sveglia bambina di dieci anni (Sophia Lane Nolte, figlia di Nick Nolte).

L’arrivo di Amadeus dà il colpo di grazia a una situazione familiare già abbastanza problematica tra stakanovismi, reciproci tradimenti e ripicche, e scatenerà una serie (infinita) di incidenti e piccole grandi catastrofi.

Nell’occhio del ciclone il rapporto tra nonno e nipote costituisce l’unica oasi di serenità capace di ospitare momenti di lucidità per Amadeus: Tilda è infatti l’unica che dimostra comprensione, affetto e pazienza nei confronti del nonno.

Così, per restituirgli un senso di sé e del suo passato, e per portare della sana gioia riparatrice nel suo cervello “pieno di miele” (il titolo originale significa “Testa piena di miele”), Tilda decide di trascinare Amadeus in un viaggio alla volta di Venezia, dove egli aveva trascorso la luna di miele (ancora una volta il miele) con la sua amata moglie.

La libertà, l’imprevedibilità e la spontaneità “patologiche” del nonno vengono amplificate dalla vitalità della bambina (matura ben oltre la sua età) e, ça va sans dire, finiscono prevedibilmente per contagiare la famiglia intera e rivoluzionarne la filosofia di vita.

Metà on the road, metà no; metà tearjerker e metà slapstick, il film calca eccessivamente qualsiasi situazione gli capiti sotto mano. Un viaggio indimenticabile vuole apparire come una fiaba contemporanea (per quanto ambientato ai giorni nostri, siamo relegati in una sorta di universo retro se guardiamo a costumi, ambienti, colori) condita da umorismo discutibile.

L’intento (apprezzabile) di raccontare e sdrammatizzare una malattia indicibile come l’Alzheimer si perde in un film pieno di situazioni poco plausibili (lasciare a casa da solo un malato di Alzheimer con accesso a fornelli e seghe elettriche e poi stupirsi se fa saltare tutto per aria?) e personaggi altamente irresponsabili che sembrano essere del tutto all’oscuro delle cure e attenzioni necessarie a un malato, e riduce la malattia a un pretesto per gag ripetitive, che oltre a non essere divertenti non fanno progredire trama o personaggi.

Per quanto la chimica nonno-nipote possa risultare efficace come cuore emotivo del film, e Nolte e figlia riescano a portare una buona energia sullo schermo, ciò non basta a redimere una sfilza di difetti che vanno da un montaggio disordinato e mal calibrato a product placement aggressivi al punto di essere ridicoli, passando per cliché sull’Italia stanchi e sorprendentemente ingenui o di cattivo gusto (difficile ad esempio credere che una giovane addetta alla reception in un hotel di lusso a Venezia non capisca una parola d’inglese).

Uno spunto interessante offerto dalla trama ma presto del tutto abbandonato è costituito dalla scelta della bambina di cominciare a filmare il nonno come si fa con i bambini, con la motivazione che “quando non ricorderà più niente gli farà piacere vedere quei video”. Ebbene, se affidare qualcuna delle ridondanti gag del nonno o qualche ricordo commovente allo sguardo affettuoso di Tilda avrebbe potuto dare più coesione al film, dei suddetti video non si ha più traccia nel film: ennesima occasione sprecata di tentare di dare senso e sensibilità a un film che non ne ha.