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Un uomo qualunque
Giunge da noi un anno dopo il "release" americano. Non fosse mai arrivato, non se ne sarebbe lamentato nessuno. E' Un uomo qualunque di Frank A. Cappello, trascorsi da sceneggiatore (Constantine, Fino alla fine), futuro minaccioso da regista. La storia è quella di un anonimo impiegato che - torturato dai capi, deriso dai colleghi e ignorato dalle donne - si trasforma in un concentrato di rabbia pronto a premere il grilletto. Sciagurato autore dello script, Cappello vorrebbe condurci negli abissi di frustrazione della middle class americana. Vorrebbe. Perchè con un occhio a Scorsese e Schumacher (Taxi Driver, Un giorno di ordinaria follia), e l'altro alle recenti cronache di marca e sangue Usa, lo strabismo è dietro l'angolo. Incapace di tradurre le proprie ambizioni in una parabola di senso, il regista le prova tutte passando dal grottesco al fantasy, dalla comedy al dramma. Lo spettatore invece deve arrendersi prima, frastornato da voci over monocorde, paraplegiche miracolate e pesci parlanti. Un "agitare le acque" che tenta forse di nascondere l'imbarazzante guazzabuglio creativo. Ma se l'approccio "qualunque" è di gusto opinabile, il messaggio qualunquista va respinto senza sconti. Irriconoscibile Christian Slater, afflitto da un atroce decadimento fisico e attoriale. Prestatore d'(inutile) opera William H. Macy. Il "Mr. Nessuno" del West non poteva trovare avventura più sgangherata. E frontiera più anestetica.