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Un milione di giorni
Cinque donne, cinque storie, cinque epoche diverse. Sullo sfondo, la Sicilia, metafora di donna e madre, essa stessa protagonista del nuovo lavoro di Manuel Giliberti, regista e sceneggiatore che ha fatto dell'isola la cornice preferita per i suoi film - basti pensare a opere come Lettere dalla Sicilia o Gli astronomi. La Sicilia non emerge solo attraverso i paesaggi e gli ambienti, che sono sì messi in luce e curati con estrema meticolosità, grazie anche all'esperienza di scenografo di Giliberti, ma pervade tutti gli aspetti della messa in scena, dalla fotografia - che dona vitalità anche al più (apparentemente) insignificante elemento scenografico - alla recitazione, soprattutto quella di caratteristi come Nino Frassica e Evelyn Famà, che rendono possibile l'accesso ad una dimensione storica e culturale altra, più teatrale e pregna di quella “sicilianità” su cui tanto insiste il film. È proprio la teatralità l'indiscussa peculiarità dell'opera: teatralità nei gesti e nelle parole degli attori; teatralità delle ambientazioni, spesso racchiuse in una cornice che ricorda le quinte di un palcoscenico; teatralità nei costumi, negli arredi, persino nel trucco; non ultima, teatralità nelle musiche di Antonio Di Pofi, che percorrono e legano le vicende narrate.
Di narrazione si tratta, infatti: le storie, che hanno come protagoniste donne siciliane, straordinarie nella loro autenticità, vengono raccontate dal Duchino Frassica alla sua cameriera Carmelina (Evelyn Famà), una donna poco colta, ma assolutamente concreta e ironica, che insiste per ascoltare “qualche bella storia di fimmina”. Si passa quindi dalla vicenda di Costanza d'Altavilla (Chiara Caselli), donna forte e altera, che, per salvare il figlio Federico II dal rischio di diventare crudele e ignorante come il padre Enrico VI, non si ferma davanti al delitto, a quella di una prostituta siciliana (Giulia Gulino) che diventa suo malgrado protagonista di una delle opere più importanti di un fuggiasco Caravaggio. Si narra poi di Donna Franca Florio (Galatea Ranzi), che, al crollo dell'impero economico della sua famiglia, rimane da sola, nella consapevolezza dell'inutilità di tutta quella ricchezza. L'ultima storia, raccontata questa volta da Carmelina, è quella di una Santa (Piera degli Esposti), una figura angelica legata però ancora alla concretezza del suo essere donna, alle prese con le virtù e i difetti di una Sicilia anni 50 che strizza l'occhio all'Italia di oggi.
Le cinque donne sono legate, oltre che dal racconto cornice, da un oggetto simbolo che passerà di mano in mano nel corso dei secoli: nonostante la debolezza di questo “anello” di congiunzione, i singoli episodi, e la cornice, non perdono in purezza e suggestività, alternando momenti drammatici a picchi di comicità e ironia. Il cast, prevalentemente di estrazione teatrale, arricchisce l'ambizione poetica del film.