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Un giorno per sbaglio
L'alta borghesia inglese, i vicini di casa della nobiltà di campagna già incontrati in Match Point, le relazioni pericolose, i segreti e le bugie si intasano nel labirinto morale alla base del romanzo A Way Trough the Wood di Nigel Balchin scelto da Julian Fellowes per l'esordio nella regia. Anche se l'intelaiatura e i meccanismi narrativi si spostano su un altro registro, personaggi e situazioni ricordano La règle du jeu di Renoir, al quale Fellowes si era già rifatto per la sceneggiatura di Gosford Park di Altman. Una vita dorata perde improvvisamente smalto e splendore allorché un granello di sabbia blocca un perfetto ingranaggio e ne altera il funzionamento. James e Anne conducono in apparenza una vita felice e senza nubi, ma ecco che un incidente stradale destabilizza la loro esistenza idilliaca. Il destino delle menzogne è quello di riprodursi e infatti una bugia suggerita da una fretta eccessiva ne produce altre, fino a che una ragnatela appiccicosa avvolgerà colpevoli e vittime. Fra le vittime di questa reazione a catena di bugie provocata da Anne (una Emily Watson dalle straordinarie sfumature) c'è soprattutto il marito, James (un Tom Wilkinson impareggiabile), personaggio che sembra uscito dalle pagine di Somerset Maugham, uno "schiavo d'amore" disposto ad accettare tutto dalla moglie e tutto perdonarle: inganni, tradimenti, raggiri, ma anche una sincerità così disarmante che diventa brutalità, crudele tormento quando le confessioni della donna spezzano il cuore.
Film dallo schema tradizionale, imperniato sul confronto-scontro del classico triangolo messo di fronte alle proprie responsabilità perché chiamato a rispondere della morte di una persona, in Un giorno per sbaglio l'intrico psicologico rappresenta l'ordito della tessitura, ma la chiave di volta che regge l'intelaiatura è la qualità dell'interpretazione. Con attori inadeguati o distratti, incapaci di dare anima e sostanza ai rispettivi personaggi, il film sarebbe irreparabilmente scivolato in una fiction di mediocre livello. I suoi limiti derivano invece da una sintesi forzata dell'opera letteraria e dalla compressione nell'involucro di un tempo obbligato che penalizza quelle zone, morte soltanto in apparenza, che rappresentano le riserve auree della narrazione: il ricamo che contorna il carattere dei personaggi, l'indulgere sui loro stati d'animo, la descrizione di ambienti e di oggetti che interagiscono con la vicenda. Insomma, quei ponti e quei nessi che rappresentano il collante di ogni romanzo e che nello scarto fra letteratura e cinema vanno a tutto vantaggio della prima.