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Un cuore grande -
A Mighty Heart
Sarajevo- Guantanamo- Karachi. Un viaggio temerario di "Avventure nel mondo"? No, l'itinerario di Michael Winterbottom, cineasta di razza e intellettuale coraggioso. Emozioni, dolore, ingiustizie le sue specialità. Le guerre sporche e scomode di un Occidente sempre più corrotto e amorale il suo campo di battaglia, non solo cinematografico. Prima era l'ex Jugoslavia, ora è l'Afghanistan, il post 11 settembre. In Road to Guantanamo, ha raccontato la storia vera di quattro giovani la cui unica colpa fu sconfinare dal Pakistan e il non confessare, neanche sotto tortura, le bugie necessarie al Sistema. In Un cuore grande racconta i giorni in cui la guerra di civiltà, forse, è arrivata al suo punto di non ritorno. Nel gennaio 2002 Daniel Pearl, inviato per il Wall Street Journal in Pakistan e Afghanistan, viene sequestrato da Al Qaeda. Sarà il primo giornalista ucciso con un'atroce decapitazione, tragica moda del terrorismo di questi ultimi anni. Dopo le estradizioni illegali della Cia e il dramma delle detenzioni (spesso ingiustificate) di Guantanamo, Winterbottom, prodotto da Brad Pitt e con Angelina Jolie come protagonista, mostra l'altra faccia della guerra infinita, della libertà duratura, partendo dal libro di memorie della giovane e caparbia vedova. Con una narrazione classica, quelle che preferisce, e la solita grande capacità tecnica, il regista inglese ci porta all'interno di un dramma familiare e mondiale con una sobrietà e un pudore per lui inusuali. Daniel (Dan Futterman) lo vediamo quasi esclusivamente nei momenti di felicità e lavoro, viviamo la tragedia con la moglie Mariane (Jolie), in cinta di sei mesi, e di tutto il suo entourage di colleghi, amici e diplomatici. Di sbagliato e fuori posto, in questo film, insomma, c'è solo l'improbabile parrucca di Angelina. Ci si commuove, ci si indigna, si vorrebbe urlare insieme all'ottima Jolie, in uno dei pianti più scomposti ma veri della storia del cinema. Pearl cercava e raccontava la verità, ripugnava dogmi e ipocrisie. Una colpa troppo grande in un mondo fanatico e fondamentalista come il nostro.