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Micaela Ramazzotti e Stefano Accorsi in Un amore
Non c’entra il film del 1999 in cui Fabrizio Gifuni e Lorenza Indovina si inseguivano per anni lungo una decina di piani sequenza, tanto meno il romanzo del ’59 di Dino Buzzati, di cui condivide solo la professione del protagonista, un architetto.
Un amore, la miniserie Sky in 6 episodi, sembra seguire una scia più interna, quella di Un’estate fa, altro prodotto della rete satellitare in cui il passato e il presente si mescolavano, la nostalgia dell’adolescenza si scontrava con la tormentata quotidianità del presente.
Se però nella serie con Lino Guanciale c’era un giallo irrisolto e un pretesto fantastico, la serie ideata da Stefano Accorsi ed Enrico Audenino è tutta dentro i binari del realismo sentimentale.
Racconta infatti di Ale (lo stesso Accorsi) e Anna (Micaela Ramazzotti), due ragazzi che negli anni ’90 si conoscono in Interrail, s’innamorano e vivono un’avventura in Spagna e poi tornano ognuno alle proprie vite, ma non smettono mai di scriversi. Trent’anni dopo si incontrano, l’amore non è mai passato e prende forme a cui non possono resistere, ma la loro relazione si scontra con ciò che hanno costruito lungo i decenni, soprattutto lei con un marito e un figlio che sta aspettando di diventare padre. Sarà l’amore a resistere meglio al tempo o la stabilità della vita?
Un amore è un dramma sentimentale che non tocca quasi mai le corde del melodramma, ma si concentra di più sull’aspetto familiare della questione, partendo dai personaggi come fuochi di un’ellissi che illuminano anche le storie attorno a loro, la famiglia di lei, con sorella invadente e padre simpatico, e quella di lui, una relazione poco convinta e una madre malata ma poco affidabile sentimentalmente come il figlio.
È questo parterre di personaggi di supporto, e il cast che li interpreta, su tutti segnaliamo Ottavia Piccolo come mamma di Ale, a rendere la miniserie più interessante di quanto non sia sulla carta, a restituire quell’articolazione romanzesca che giustifica il formato episodico anziché quello cinematografico, cosa che non era riuscita per esempio a un lavoro analogo come Fedeltà.
Nel ping-pong tra ieri e oggi, gestito in modo meno pretestuoso e più organico del previsto dagli sceneggiatori (oltre ad Audenino, Teresa Gelli, Giordana Mari e Francesco Lagi) e dal regista (lo stesso Lagi), a colpire è proprio il presente, il modo preciso, né delicato né tagliente, con cui l’amore che dà il titolo alla miniserie diventi un intreccio di fili che coinvolge molti più personaggi rispetto ai due amanti, mostrando il modo in cui la vita intima di ognuno non è personale, ma giocoforza collettiva, ogni spostamento dei desideri e delle relazioni colpisce, fino a ferire, tutti coloro che sono intorno ai protagonisti. Il passato invece, la giovinezza soprattutto, è quel periodo della tarda adolescenza in cui si sperimenta l’ebbrezza della libertà un passo prima di diventare adulti, una terra libera e assoluta, un luogo posto alla fine del mondo (i due ragazzi viaggiano in Spagna, fino appunto a Finisterre, uno dei luoghi in cui si credeva ci fossero i confini della Terra), dove si è da soli con sé stessi e il proprio partner e il mondo intorno potrebbe anche non esistere: il racconto in questo caso avrebbe bisogno di un’unitarietà più forte, ispirandosi per esempio a un classico del genere come Prima dell’alba di Richard Linklater, mentre le continue, necessarie frammentazioni spezzano un po’ l’emozione e l’atmosfera, oltre a una scelta di casting non proprio azzeccatissima per cui la brava Beatrice Fiorentini sembra più la versione da ragazza di Claudia Pandolfi, che non di Ramazzotti; inoltre, la ricostruzione d’ambiente è un po’ pigra, soprattutto se si pensa a certe scelte musicali non proprio originali, anzi un po’ abusate, come Via con me di Paolo Conte (una delle canzoni italiane più conosciute al mondo) che fa da filo conduttore del loro amore.
Come detto, a trainare la miniserie e a tenere gli spettatori dentro la narrazione, ci pensa la scrittura del presente, scandita dalle lettere che Ale e Anna si sono scambiati per così tanto tempo e che, come ogni buon racconto epistolare sa, rispecchiano sentimenti ed emozioni molto meglio di quanto le parole dette possano mai fare. In quelle parole, nella loro sincerità pur filtrata dall’ideale romantico connaturato al medium e messa a confronto con i gesti che i personaggi compiono giorno dopo giorno, c’è il cuore e il senso di Un amore, quella riflessione sul peso che quel preciso sentimento ha nelle nostre vite come quel peso faccia da polo di attrazione che rischia di mandare all’aria gli altri sentimenti e affetti di cui sono composte le vite delle persone. Romantica nel senso più puro del termine, lontana quindi da certi sentimentalismi, ma capace di accensioni emotive intense, la miniserie è un prodotto medio, capace di elaborare bene il proprio target e la propria offerta narrativa, abile a crescere con gli episodi (l’ultimo episodio, ambientato qualche anno dopo il corpo centrale degli eventi, tutto diviso tra un aeroporto nel presente una stanza d’ospedale del passato, è il migliore dei sei) e soprattutto a limare o sminuire certi intoppi registici o semplificazioni grazie alla cura che ripone nel lavoro con gli attori.
Accorsi e Ramazzotti offrono due prove tra le migliori della loro carriera, in cui emergono le loro doti fuori dagli stereotipi e dalla tipizzazione di diversi loro personaggi: se il primo porta a compimento il processo di maturazione e perfezionamento attoriale che abbiamo seguito negli anni, la seconda dimostra che fuori dal canone della svampita, della simpatica pazzoide che nasconde un cuore fragile, è un’attrice realmente completa, abile nelle sfumature, senza cedimento al birignao. Magari non ci si innamora di Ale e Anna, ma gli si vuole, si prova affetto, e il merito va all’alchimia tra gli attori che li interpreta.