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Andrea Carpenzano e Silvio Orlando in Un altro Ferragosto - Foto Paolo Ciriello
Che cosa è rimasto di Ventotene? Che cosa è rimasto di noi, di quella dicotomia tanto grottesca quanto terribilmente realistica incarnata dai Molino e dai Mazzalupi?
Quasi 30 anni dopo Ferie d’agosto (il film uscì nell’aprile del 1996, ma la scrittura iniziò nel ’94), Paolo Virzì richiama a sé gran parte del cast di allora, ritrova Francesco Bruni in sceneggiatura (l’ultima volta insieme fu un decennio fa, con Il capitale umano), oltre al fratello Carlo, e ritorna a Ventotene per Un altro ferragosto: il ventiseienne Altiero Molino (Andrea Carpenzano, new entry), imprenditore digitale che ha fatto fortuna, sposato con un fotomodello, decide di radunare sull’isola dove venne concepito i vecchi amici intorno al padre Sandro (Silvio Orlando), ormai malandato e prossimo alla morte, per regalargli un’ultima vacanza. Fatalità vuole che proprio in quei giorni Ventotene è in fermento per il matrimonio di Sabry Mazzalupi (all’epoca era Vanessa Marini, oggi Anna Ferraioli Ravel) con il fidanzato Cesare (Vinicio Marchioni, new entry): la ragazzina goffa, figlia del compianto Ruggero (allora Ennio Fantaschini), è diventata una influencer, una celebrità del web, e le sue nozze attirano media e misteriosi emissari del nuovo potere politico…
“I Molino sono ‘na massa di imbecilli che se la tirano, disperati pure loro, pieni di problemi, però con ancora degli ideali. I Mazzalupi sono una famiglia de burini, però burini veraci, con delle velleità e dei sogni proibiti, folli. Pensano a essere influencer, a essere up to date, ma so’ dei poveri disgraziati pure loro. Però, in tutto questo bailamme, c’è anche tanta poesia, tanta malinconia, perfino amore”.
La buona sintesi è di Christian De Sica, altra nuova figura che entra in maniera prorompente nel dittico ferragostano: il suo ingegner Nardi Masciulli (vantata parentela con un decorato maggiore della Xª MAS…) è l’uomo con cui si ripresenta sull’isola Marisa (Sabrina Ferilli), vedova di Marcello (il compianto Piero Natoli), sempre più stanca e disillusa, con la sorella maggiore Luciana (Paola Tiziana Cruciani) ormai irrimediabilmente rimbambita, ma soprattutto decisa più che mai a scongiurare le nozze della nipote date le ovvie e malcelate (cattive) intenzioni del futuro, trucido sposo.
Un matrimonio trash, e il lento cammino verso un commiato funebre: un tempo ci si arrampicava sul terrazzino della villetta bianca per cercare di sintonizzarsi su Italia Uno, stavolta si prova a scroccare il segnale wi-fi proveniente dalle vicinanze… “Che ha detto?”, chiede il malandato Silvio Orlando a Tito, figlioletto di Martina (Agnese Claisse, che torna a interpretare la figlia di Cecilia, Laura Morante, compagna di Sandro), l’unico tra tutti i componenti della tribù dei Molino sinceramente coinvolto dall’unica passione di quell’uomo, un tempo giornalista de L’Unità, che ora riversa sui social le sue riflessioni. La stesura di una lettera a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, tesa a salvaguardare dei reperti sull’Isola dove hanno vissuto da confinati politici i vari Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann, Sandro Pertini, è il gancio con cui Sandro tenta di tenere legati presente e memoria, elemento centrale quest’ultimo che aleggia sottotraccia lungo tutto il corso del film.
Non a caso, in apertura, ci si avvicina via mare all’isola e in sottofondo, quasi sussurrati, ci arrivano alcuni dialoghi presenti nel film di 28 anni fa: poco a poco quelle voci sfumano, all’approdo sarà Italodisco dei The Kolors ad accoglierci. La nostalgia, il ricordo, spazzati in un attimo da un hit estiva.
Il caos di una località che sembra non poter contenere più tutti i turisti che vi sbarcano, contrapposto all’utopia di chi – Mauro, ex compagno di Cecilia e padre di Martina, ancora una volta Silvio Vannucci – ha deciso di rimanere lì a vivere, intento ad organizzare improbabili cineforum, “rigorosamente in pellicola, senza star, senza red carpet, solo con i registi come ospiti”: Virzì maneggia con furore e malinconia lacerante questi continui saliscendi emotivi, inframezza il corso del nuovo racconto con inserti del vecchio film, fondamentalmente continua a far dialogare il nostro presente con un passato che sembra non aver insegnato nulla.
Per farlo si serve naturalmente di un cast assortito molto bene (tra vecchi e nuovi), affidando a Paola Tiziana Cruciani (meravigliosa) e Sabrina Ferilli (l’abilità con cui sa unire disillusione e becerume lascia senza parole) il compito di “tenere in vita” il ricordo dei personaggi di Fantastichini e Natoli, trovando in un superlativo Christian De Sica (quanto bisognerebbe ricordarsi ogni giorno della sua bravura) la perfetta incarnazione del cialtrone che in tutti i modi cerca di dissimulare la propria disperazione.
È per forza di cose il personaggio più tragicomico dell’intera combriccola (con tanto di clamoroso insulto finale verso il povero Fabrizio Ciavoni, qui nei panni del figlio della Ferilli, insulto che sa unire body shaming e politicamente scorretto come forse non accadeva più da anni), il manifesto di un paese che può tentare quanto vuole di mettere in dialogo le sue anime differenti, ma senza riuscirci davvero mai.
In fondo, ancora una volta, forse di più, Virzì mescola l’acidità di una commedia di costume, corale, alla tragicità di una “strage” (parola che non a caso usa Luciana quando gli ricordano che oltre al marito Ruggero è morto anche il cognato Marcello): il tempo che passa, la gente che non c’è più (oltre a Fantastichini e Natoli, il film è dedicato a Oumar Ba, Evelina Gori, e Mario Scarpetta, anche loro presenti in Ferie d’agosto e nel frattempo passati a miglior vita), la morte non solo dei corpi, delle persone (nel frattempo è morto anche Berlusconi…), ma anche degli ideali, della speranza, della possibilità di riconsiderare l’esempio di chi, a suo tempo, si sacrificò per la libertà, con un vecchio rudere raso al suolo per fare spazio all’altarino-selfie per un altrettanto tragico matrimonio.
Sandro prima prova a battagliare, poi cerca lo scontro dialettico, ma la sua malattia cognitiva lo porta a sostituire la parola “fascismo” con “pasta e fagioli”: non è forse lo specchio di un paese che ormai ha preferito sovrapporre al pensiero della sua storia dolorosa e allo spettro di qualsivoglia revanscismo l’idea de “fasse ‘na bella magnata?”.
Poi Sandro sogna, immagina di dialogare con il giovane Pertini e i suoi compagni, che gli rammentano quanto la sua vita spesa in nome di seppur validi ideali sia stata però una vita di fatto non vissuta, non votata all’amore, non agita, fatto sta che Cecilia ancora vaga in cerca di certezze sullo stato del loro sentimento e il figlio, Altiero, dopo anni ancora non sa come poter ricucire un rapporto che sembra perduto nel limbo dei silenzi.
A volte, però, anche in silenzio, basterebbe condividere lo stesso sguardo verso un orizzonte crepuscolare, per ritrovarsi. O imbattersi nella più semplice delle epifanie, riscoprendosi a piangere – come accade al personaggio di Daniela, la new entry Emanuela Fanelli, che Virzì torna a dirigere dopo il David di Donatello vinto dall’attrice grazie a Siccità – alla fine di una proiezione in piazzetta: “Che io poi me so fermata qui solo perché non je la facevo più a camminà… Comunque a me il film m’è piaciuto, perché in fondo ce dice che la vita è una merda. E che noi famo tutti schifo”.
Solo nel bianco e nero di un sogno/sonno eterno, forse, ritroveremo il coraggio di lasciarci andare verso un più glorioso avvenire.