Perde alle scommesse, uccide il cane con due calci alle costole. Irascibile e attaccabrighe, Joseph (Peter Mullan, gigantesco) annega nella birra e in una vita fatta di nulla il peso di quel tirannosauro da cui non riesce a liberarsi. "Quando saliva le scale di casa tremava il tè sul comodino, come all'arrivo del tirannosauro in Jurassic Park", per questo aveva soprannominato così la moglie, morta di diabete ormai da cinque anni, amata/odiata, rimpianta ma fino ad un certo punto: "Se fosse ancora qui continuerei a trattarla come un cane".
Sarà l'incontro con la dimessa Hannah (Olivia Colman), picchiata e violentata da un marito schifoso, ad aprire un nuovo spiraglio. Per provare a lasciar andare il dinosauro che è in lui, fino alla scoperta di un segreto sanguinoso.
Già premiato al Sundance (World Cinema Dramatic Directing Award e Premio Speciale della giuria per la recitazione), l'esordio alla regia di Paddy Considine (apprezzato attore britannico, sodale di Shane Meadows, diretto anche dai vari Sheridan, Winterbottom e Greengrass) riflette su senso di colpa e redenzione, sull'ipocrisia e sulla frustrazione (Hannah lavora per un'associazione caritativa cristiana, prega per gli altri, ma nasconde il dolore - anche fisico - di un matrimonio fallito): coerente nella messa in scena e perfetto nella direzione degli attori, Tyrannosaur sfrutta sino all'ultimo nervo il talento animale di un Peter Mullan come sempre mostruoso, sul punto di esplodere in ogni situazione, alimentato da una collera e un odio verso il mondo spaventosi, ancora capace però di slanci solo in apparenza imprevisti. E consegna al cinema lo sguardo di un "nuovo" regista, capace di inquadrare già con un solo film le geometrie urbane ed emotive di una Londra altre poche volte vista sul grande schermo: dal nulla di una periferia buia e umida alla "tranquillità" borghese del residenziale Marlon Estate, il passo è molto più breve di quello che può sembrare.