Otto anni dopo A Gentle Creature e numerosi documentari, Sergei Loznitsa torna al cinema di finzione.

Lo fa con Two Prosecutors (acquistato per l’Italia da Lucky Red), opera ispirata agli scritti di Georgij Demidov, fisico e prigioniero politico durante il regime del terrore staliniano.

Siamo dunque nell'URSS del 1937, dentro la gelida prigione di Bryansk, abitata da relitti umani, la maggior parte dei quali arrestati per crimini "antisocialisti" e "antirivoluzionari".

Migliaia di lettere scritte da questi prigionieri vengono destinate ad una stufa-inceneritore ancor prima che possano varcare la soglia di quei cancelli. Se ne salva miracolosamente una, scritta con il sangue, ed è quella che dà il via "all'azione" del film.

Che è tutto giocato su una sottile contrapposizione concettuale: Loznitsa ingabbia il racconto dentro l'aspect ratio di 1.33:1, ogni sequenza rimane a sua volta prigioniera di una camera fissa che diventa presa di posizione non solamente figlia di un rigore formale (ricordiamo che altri film di finzione del regista ucraino, come Anime nella nebbia ad esempio, erano caratterizzati da lunghissimi piani-sequenza) ma contraltare ideologico di un moto (d'animo, legale, umano), quello del giovane procuratore Kornev (Alexander Kuznetsov), che decide dapprima di far visita al detenuto Stepniak (Alexander Filippenko), l'autore della missiva, poi di dare seguito alla sua tragica testimonianza, recandosi a Mosca dal procuratore generale Vishynsky (Anatoly Beliy) per denunciare i crimini commessi dall'NKVD, il Commissariato del popolo per gli affari interni, ufficialmente chiamato a proteggere la sicurezza dello Stato, in realtà artefice di indicibili abusi (le famigerate purghe staliniane) sia in fase probatoria (fondamentalmente nulla) sia attraverso "mezzi fisici di persuasione", leggasi tortura, atti ad estorcere confessioni forzate di persone innocenti che venivano così dapprima incarcerate e poi condannate a morte.

Two Prosecutors - @ SBS Productions
Two Prosecutors - @ SBS Productions

Two Prosecutors - @ SBS Productions

La spietatezza di un simile sistema resta confinata nel fuoricampo di un'opera (magistrale il momento in cui Kornev si affaccia dalla finestra dell'ufficio del carcere quando un detenuto stramazza al suolo in cortile) che alla vista risponde con la messinscena kafkiana ed elegante di un potere subdolo e mefistofelico: le ore di attesa in carcere, le altrettante nell'anticamera dell'ufficio moscovita di Vishynsky, l'illusione di aver ottenuto un riscontro positivo e fattivo per iniziare un procedimento atto a porre fine alla barbarie, la paziente determinazione di Kornev è l'ultimo baluardo di speranza (anche se come finirà la sua storia è abbastanza ovvio...) in un meccanismo, quello dei regimi totalitari, che ancora bussa con insistenza alle nostre porte.

D'altronde, come ha ricordato lo stesso Loznitsa, che da molto tempo colleziona i testi sui Gulag e sui campi di concentramento, tutto questo "non è uno specchio del passato, ma uno specchio del presente".