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Tutto Chiede Salvezza. (L to R) Federico Cesari as Daniele, Fotinì Peluso as Nina in episode 101 of Tutto Chiede Salvezza. Cr. Monica Chiappara/Netflix © 2024Tutto Chiede Salvezza.
“Perché tutto questo dolore?” si chiede Daniele verso la metà della seconda stagione di Tutto chiede salvezza, disponibile su Netflix a due anni dal successo della prima. Ed è la domanda che attraversa tutte le cinque puntate, una per settimana: si tratta del periodo di tirocinio che il protagonista deve sostenere nell’ospedale in cui era stato ricoverato (il ciclo precedente si concentrava proprio su quella settimana di TSO), occasione fondamentale per dimostrare al giudice che può stabilizzarsi professionalmente e accreditarsi come un genitore affidabile. Daniele, infatti, ha avuto una figlia, Maria, con Nina, la ragazza conosciuta proprio in quella settimana, ma l’amore non ha retto alla prova della quotidianità, la relazione è naufragata, i rapporti (anche tra le famiglie) si sono fatti tesi e il giudice si è preso del tempo per capire cosa fare.
Già nella prima stagione Francesco Bruni aveva riletto il romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli (anche sceneggiatore con il regista e Daniela Gambaro) senza il timore della restituzione e la comodità dell’illustrazione, anzi espandendone l’universo – soprattutto romantico – e restando fedele e aderente sia al racconto di un mondo a parte sia all’avventura della crescita.
Il sequel tiene conto della traccia romanzesca ma va da sé che trovi linfa anche in quella biografica (Mencarelli e la vocazione poetica: magari le poesie non danno da mangiare ma che bello poterle condividere), con la precisione cronologica e il ritorno sul luogo del delitto per rispondere alla domanda fatale: in quale fase della guerra si trova questo reduce che convive con i traumi, fa a botte con i dispiaceri e si impegna disperatamente per credere nella speranza?
Se nella prima stagione era paziente e osservatore, un ragazzo che in una condizione passiva trovava le risorse per scoprirsi attivi, stavolta Daniele ha una triplice funzione: è il paziente che fa di tutto per non tornare a essere tale; l’osservatore che sta dall’altra parte rispetto a prima; l’interprete di eventi che deve imparare a dominare e non subire.
Tutto chiede salvezza si conferma vero e proprio racconto di formazione grazie alla sapienza e all’umanità di Bruni nel mettersi accanto alla giovinezza piuttosto che a una generazione (magari pure a quella, certo, ma sarebbe riduttivo), mettendosi in ascolto dei sogni e dei bisogni di chi sta tra l’adolescenza e l’età adulta rifiutando tanto il paternalismo quanto il giovanilismo.
“Perché tutto questo dolore?”, appunto: Bruni non dà risposte (chi le ha?) ma offre a Daniele la possibilità di capire che il dolore è utile solo se si trasforma e ci trasforma. E la risposta è nella vita che sopravvive tra le mura dell’ospedale, nella possibilità di ricollocamento (l’imponente Lorenzo diventato aiuto giardiniere, interpretato da Giorgio Rienzi; ma anche l’inaspettato e commovente ricordo personale del dottor Mancino, un Filippo Nigro sempre sorprendente) e nell’abitudine alla solidarietà (l’indigente Armando di Vittorio Viviani: l’anziano solo non è un altro emarginato di questa società?), nella fragilità nascosta dall’aggressività (l’ex promessa del calcio Rachid) e nella necessità della gentilezza (il rapporto con Matilde, donna nata in un corpo maschile, prima conflittuale poi complice: quanta intelligenza nell’utilizzo di Drusilla Foer, in un crepuscolo dove la tenerezza si mescola al rancore). E in una bambina che è venuta al mondo per unire e non per dividere, nell’amore che ci meritiamo e quello di cui dobbiamo prenderci cura.
L’umorismo resta una chiave ma il melodramma è più dolente, la rappresentazione della comunità dei pazienti è forse meno compatta e intensa rispetto al prototipo (torna anche Vincenzo Crea, ma il suo personaggio resta un po’ laterale) mentre quella del personale è in continuità (dall’autorevole Raffaella Lebboroni a Ricky Memphis e Bianca Nappi incaricati della leggerezza) e che bravi, anzi bravissimi, Federico Cesari e Fotinì Peluso (due certezze, altro che giovani promesse).