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Tutti per Uma
Una Mary Poppins all'italiana che improvvisamente appare in una famiglia di viticoltori tutta al maschile. Si chiama Uma, è interpretata da Laura Bilgeri, e porterà un po' di gioia e d'amore in questa famiglia composta da un nonno (Antonio Catania), che ha inventato lo spumante Ferlinga, i suoi due figli Dante (Lillo Petrolo), un bambinone mai cresciuto, ed Ezio (Pietro Sermonti), un vedovo che si è dato all'apicoltura, e i suoi due nipotini: Francesco, appassionato di danza, ed Emanuele, il più piccolo.
E' Tutti per Uma, opera prima di Susy Laude. Una favola a tutti gli effetti. Ovviamente, come in ogni fiaba, non poteva mancare il cattivo della storia, qui interpretato da Dino Abbrescia.
In realtà è quasi una meta favola, perché tantissimi sono i riferimenti dalla già citata Mary Poppins (la famiglia, proprio come nell'originale, ha un'ipoteca pendente sulla casa) a Il soldatino di piombo fino a La bella addormentata nel bosco (anche se qui è la principessa che bacia il principe).
Il risultato è un family che gioca con gli stereotipi di genere e che affronta con leggerezza anche temi più seri quali il bullismo (il bambino cicciottello ama ballare e per questo viene preso in giro dai suoi coetanei).
I rimandi comunque sono tanti, e non sono solo le favole. Primo tra tutti il film Little Miss Sunshine. Laddove la sgangherata famiglia degli Hoover si metteva in viaggio su un cadente pulmino verso il concorso di bellezza per bambine più famoso della California e la piccola Olive, non proprio conforme agli standard (cicciottella e con un paio di spessi occhiali da vista) conquistava la platea ballando sul palco. Qui è Francesco a vincere la sfida facendo quello che gli piace e disinteressandosi del fatto che lui sia giusto o sbagliato e la famiglia dei Ferlinga a seguirlo in questa avventura.
In Tutti per Uma però manca il fascino della novità e ci si perde in questi continui déjà-vu spaziando dalle favole, ai film (oltre a Little Miss Sunshine, anche I Goonies, Jojo Rabbit) fino alle slapstick comedy mute alla Stanlio e Ollio e alla serie tv stile Un medico in famiglia (forse per la presenza di Sermonti). Alla fine sono proprio i troppi riferimenti il problema di questo film, che aveva il vantaggio di essere un family, genere molto poco affrontato in Italia, come ha sottolineato lo stesso Massimiliano Orfei, ceo di Vision Distribution, durante la conferenza stampa di presentazione. La strada per fare dei bei family in Italia però mi sa che è ancora lunga.