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Truman Capote
Truman Capote descrive in maniera dolorosa e complessa quello che è sostanzialmente un peccato di Hybris, ovvero di tracotanza: la problematica genesi di un capolavoro della letteratura, nato dal sangue e da un grado di disperazione molto personale. Nel novembre del 1959, infatti, un'intera famiglia di agricoltori fu massacrata da due sbandati finiti nella loro proprietà, nella campagna americana. Un drammatico fatto di cronaca che colpì l'attenzione del giornalista del New Yorker e scrittore Truman Capote, reduce dal grande successo di Colazione da Tiffany. Raffinato, elegante e gay, Capote partì alla volta della piccola cittadina del Kansas insieme alla sua assistente Harper Lee che proprio in quel periodo stava per pubblicare il suo romanzo più famoso: Il buio oltre la siepe, vincitore l'anno successivo del premio Pulitzer. La palese ostilità degli abitanti del piccolo stato conservatore nei confronti dell'eccentrico giornalista proietta sin da subito lo spettatore in un'atmosfera molto pesante e densa, vagamente alleggerita dall'humour sarcastico di Capote che fa di tutto per entrare nelle grazie dei concittadini delle vittime. Tutto precipita, però, quando i due assassini vengono arrestati. Capote - che ormai ha deciso di scrivere un romanzo che lui sa già essere il suo capolavoro - finisce per diventare loro amico e vincendone la diffidenza inizia ad ottenere le loro confidenze. Condannati a morte, i due sono abbandonati a se stessi, con il giornalista che se da un lato trova loro un avvocato, dall'altro se ne va per un anno in Spagna con il suo compagno (lo scrittore Jack Dunphy ) a scrivere quello che è uno dei libri più importanti della letteratura americana: A sangue freddo. Costretto a tornare e a fronteggiare l'estenuante fine dei due balordi (l'esecuzione avverrà quattro anni dopo i tragici fatti di sangue) Capote sembrerà non trovare più la strada per tornare indietro dalla discesa nell'abisso delle personalità dei due omicidi. Intenso e coinvolgente, Capote è una riflessione sulla manipolazione in nome dell'arte e sui limiti da non superare. Una pellicola diretta dal pressoché esordiente Bennett Miller con protagonista uno straordinario Philip Seymour Hoffman capace di dare vita ad un personaggio al tempo stesso fascinoso, ma non simpatico, né tantomeno positivo. Una figura controversa, ambiziosa, ma anche fragile nel suo rapporto di presunta amicizia con un assassino con cui sente di avere diversi punti in comune.