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Deception - cr. Shanna Besson
Inganno. È quello che accettiamo di vivere più o meno consapevolmente ogni qualvolta ci apprestiamo a leggere un libro. O a vedere un film.
È lo stesso – dichiarato dal titolo – che Philip Roth tradusse in un romanzo, pubblicato nel 1990, incentrato su uno scrittore americano (Philip, per l’appunto), di stanza a Londra per un periodo, e della sua relazione con una giovane inglese che lo raggiunge regolarmente nel suo studio-rifugio.
Arnaud Desplechin torna al Festival di Cannes (sezione Premiere) con Deception (Inganno, già acquistato per l’Italia da No.Mad Entertainment), sceneggiato insieme a Julie Peyr e girato nel settembre 2020, in totale segretezza.
Arnaud Desplechin - Foto Karen Di Paola“Mentre scrivevamo – racconta il regista francese – era come se un tappeto si stendesse davanti a noi: i nostri due eroi erano intrappolati nello studio dello scrittore, nello stesso modo in cui lo eravamo noi, confinati da un lockdown”.
Diviso in 12 capitoli, il film restituisce il cuore del romanzo di Roth, di fatto procedendo solamente attraverso i fitti dialoghi tra lo scrittore e i numerosi personaggi femminili (più o meno reali) con cui ha a che fare: il nucleo portante è dato naturalmente dalle intense conversazioni tra Philip (Denis Podalydès) e l’amante inglese (Léa Seydoux), che avvengono ogni volta prima o dopo aver fatto l’amore, ma non mancano le “escursioni” nei ricordi di giovani studentesse amate in un’altra vita, o di ex costrette in ospedale a New York (Emmanuelle Devos).
Magnificamente interpretato (la Seydoux, presente al Festival con altri tre film in concorso ma costretta al forfait causa Covid, è ormai la nuova Brigitte Bardot), Deception è insistito gioco di parola e seduzione, è il dichiarato omaggio di un regista – habitué di Cannes, ultima volta in concorso con il notevole Roubaix, una luce nell'ombra – all’impalpabile e indescrivibile confine che separa la realtà dalla finzione, il pensiero dall’azione, l’ispirazione dalla creazione.
Deception - cr. Shanna BessonCerto, a volte non è semplice rimanere totalmente coinvolti nell’infinito scambio di dialoghi che riempie i vari quadri di un film la cui unica, vera pecca è quella di “appiattire” l’interazione tra personaggi dalla differente provenienza con un’unica lingua (il francese di tutti gli attori protagonisti, sui quali svetta giocoforza la grandiosa performance di un Podalydès ispirato e incontenibile).
Ma è in quello straordinario epilogo, dove Philip si ritrova al cospetto della moglie a dover prendere le difese di se stesso e del suo inseparabile taccuino, che il peso di ogni singola parola restituisce il senso di un’operazione dove le parole, appunto, costituiscono solamente, semplicemente, furbescamente, veramente (?) lo strumento principe per la costruzione di un meraviglioso inganno. O forse no?