Arriva sempre quel momento in cui un regista francese (di natali o d’adozione poco cambia) si misura con uno dei grandi topos del cinema locale: la ronde, parola-mondo che fa paradigma dal capolavoro di Max Ophüls, ovvero la corale di varie coppie i cui destini amorosi s’intrecciano in un girotondo potenzialmente infinito. Stavolta è il turno di Emmanuel Mouret, grande erede di quella tradizione sempre viva attenta a intercettare le verità del cuore, la permanenza delle “relazioni passeggere”, i baci che soffocano i conflitti fra idealismo e realtà, insomma le cose che diciamo e le cose che facciamo per citare uno dei suoi lavori migliori.

Trois amies (in Concorso a Venezia 81) è la ronde secondo Mouret, il piacere e l’amore nella purezza di un autore che rinnova il magistero di Claude Sautet, narratore per voce altrui (la scelta, che non si può rivelare, è indicativa) che elegge gli spazi a personaggi con pari dignità dei corpi in campo (esplicitamente: prima di introdurre le persone, elenca i luoghi, tra Lione e dintorni) e si mette letteralmente accanto alle anime fiammeggianti della sua storia quieta e travolgente.

Da titolo, i perni sono tre donne: l’insegnante d’inglese Joan che non è più innamorata del collega di lettere Victor ma non sa come affrontare il discorso; la collega Alice, sua migliore amica, la cui relazione con Eric procede a gonfie vele nonostante lei non sia innamorata di lui (d’altronde l’innamoramento provoca dolore e l’amore si regge sulla finzione, no?); e Rebecca, l’altra amica più bohémien e artistoide che ha una relazione clandestina con Eric. Un evento traumatico innesca cambiamenti: l’arrivo di un nuovo insegnante, una corrispondenza epistolare che da onirica si fa reale, l’incontro con un forestiero, un weekend turbolento fino alla “ricomposizione” finale. Più o meno.

Chi accusa Mouret di essere stucchevole, pedante, ripetitivo o “borghese” non riconosce – o finge di non riconoscerne – l’economia della messinscena, la precisione dello sguardo, il rifiuto della retorica, la tensione emotiva verso quella “complessità fortuita” evocata da un personaggio. È una commedia nello spirito, Trois amies, perché non dimentica che non esiste risata senza dolore e viceversa – non a caso, nelle scene dentro la sala cinematografica (abitudine da trasmettere di padre in figlia) vediamo Chaplin e Keaton, che subiscono ma non si piegano e nel frattempo ci divertono – e nei colori autunnali (fotografia di Laurent Desmet) non possiamo non scorgere i fantasmi di Hannah e le sue sorelle o Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre.

India Hair e Vincent Macaigne in Trois amies
India Hair e Vincent Macaigne in Trois amies

India Hair e Vincent Macaigne in Trois amies

(Pascal Chantier - Moby Dick Films)

Mouret porta avanti una certa idea di commedia dei sentimenti che commuove per la tenerezza (non c’è cinismo in questo mondo dove sono labili i confini tra sogni e bisogni, illusioni e disincanti, epifanie e tregende) e la goffaggine (nella ronde siamo sempre gli unici a tenere le fila dei tradimenti, anche i più rocamboleschi), in cui lascia che i personaggi inciampino negli imprevisti del cuore e poi si abbassa per farli rialzare, si posiziona nel presente (è forse uno dei pochi film in cui le app di dating non sono demonizzate: “L’intelligenza artificiale ha capito prima di noi che eravamo compatibili” sentenzia una delle tre amiche dopo troppe disavventure) e lo trascende.

Elegante senza essere affettato, caldo pur eludendo gli ammiccamenti, sorprendente nella tenuta narrativa, Trois amies deve molto ai suoi interpreti, in primis le magnifiche titolari India Hair, Camille Cottin e Sara Forestier, padrone di un’incredibile gamma emotiva (il volto di Hair è una mappa spiazzante, ogni movimento di Cottin è una coreografia, Forestier è addirittura esplosiva), ma anche i maschi non sono da meno (citiamo almeno il sempre clamoroso Vincent Macaigne).