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Triple agent
Francia, 1936. Rifugiatosi a Parigi con la moglie greca, pittrice per diletto, Arsinoé (Katerina Didaskalou), un ex generale russo dell'Armata Bianca (Serge Renko), ora chiamato a svolgere mansioni diplomatiche, sarà coinvolto in missioni segrete di natura poco chiara. Tenuta sempre all'oscuro, la donna - che nel frattempo ha stretto un buon rapporto d'amicizia con i vicini, di idee comuniste - verrà a conoscenza di alcuni movimenti del marito, senza però realmente comprendere per chi, effettivamente, lavori: per i russi bianchi anticomunisti? Per i sovietici, loro avversari? Per i nazisti? O, addirittura, per tutti e tre gli schieramenti? Traendo spunto da una storia realmente accaduta (quella dell'agente Nikolai Skoblin) sulla quale non è mai emersa un'unica verità, l'ottantaquattrenne Rohmer (il film, del 2004, è passato in concorso alla 54/a Berlinale) ha costruito, inventando, questo spionistico dramma da camera imperniato sul rapporto fra due coniugi in relazione agli stravolgimenti storico-politici di un triennio fondamentale. Il Fronte Popolare Francese, la Guerra Civile in Spagna, il successivo e inaspettato accordo russo-tedesco del '39 trovano menzione nei frammenti di alcuni cinegiornali dell'epoca e vengono raccontati attraverso gli occhi, ma soprattutto le parole, dei protagonisti. Affascinante gioco al disvelamento – che avviene sempre per interposta persona e che, comunque, rimane volutamente incompiuto – di un misterioso agente segreto il quale, pur amando la moglie, riuscirà a mantenere il riserbo su alcuni snodi cruciali del suo operato, preferendo la fuga silenziosa al confronto diretto e causando la condanna di Arsinoé per presunta complicità, Triple agent rimane sospeso in un limbo di meditazione intimamente (che sia un appartamento in città o una villa in campagna) universale: ogni avvenimento, ogni barbarie consumata nel corso della Storia è stata preparata, segretamente, a tavolino. Anche, e soprattutto, in quegli anni (speriamo) irripetibili.