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Tre uomini e una pecora
Al diavolo l'originalità: quel ragazzaccio di Stephan Elliott ci sa fare. Tre uomini e una pecora è l'innesto riuscito di Una notte da leoni nel classico canovaccio della commedia di matrimoni, genere con cui l'autore di Priscilla, conferma di andare a nozze: se la virtù del precedente lavoro non era solo nel titolo - Easy Virtue aggiornava la sophisticated comedy con la flemma al vetriolo dello humor britannico - qui il gioco di incastri e contrasti si rinnova, e quando vola basso - flirtando con il triviale e il pecoreccio - lo fa per abbattere tutto e tutti, snob da competizione e ruttatori liberi.
D'altra parte se "il matrimonio è lo scontro di due mondi", come dichiara con sinistra preveggenza la promessa sposa del film, l'occasione per miscelare e far esplodere materiali narrativi diversi è propizia: così tutto si fonde magicamente - ovvero va a rotoli - nella trasferta australiana di una sgangherata combriccola di giovanotti inglesi, in missione matrimoniale per il meno imbranato David (Xavier Samuel), pronto a sposare la cocca di papà che è anche l'erede al seggio di un senatore (Jonathan Biggins). Inutile dire che prima, dopo e durante succederà di tutto.
Elliott gira una sorta di Hollywood Party greve e alteratissimo, che fa lo shampoo alla brillantina della commedia sentimentale US sciorinando gag e crisi a raffica, in crescendo rossiniano. Scrittura, tempi comici e recitazione - scatenata Olivia Newton-John in versione milf, ma la star, neanche a dirlo, è la pecora - fanno impallidire la commedia nostrana.
L'Australia si rivela lo scenario ideale per dileggiare i rimedi della cultura contro l'anarchia della natura. E la morale è lampante: ride bene, chi ride ultimo. Potendo fermarsi.