PHOTO
Toys - Giocattoli alla riscossa
Non fatevi ingannare dal titolo (o dalla locandina, né dagli sceneggiatori): Toys – Giocattoli alla riscossa non è una piatta riproposizione della saga di Toy Story.
Perché questa produzione franco-belga-spagnola diretta da Jeremy Durengson (anche co-sceneggiatore), della celebre animazione Pixar recupera certo l’architrave narrativa (marionette, non più pupazzi animati e senzienti), due autori come Joel Cohen e Alec Sokolow, la tematica dialettica (manichini e animali alleati contro umani ostili e pericolosi), il genere (romanzo di formazione a tinte picaresche) e la morale inclusiva.
Eppure Toys sa esibire un pregevole, originale spirito postmoderno (che non è centrale forse nel capostipite), un’arguta ironia discorsiva, una critica sociale per quanto velata, non banale, una disinvolta capacità di travalicare e assemblare epoche, motteggiare e insieme unificare valori per discutere la nostra attualità, senza dimenticare a livello stilistico un impasto riuscito di sgargiante 3D con il consueto trattamento 2D.
In effetti, non è semplice far incontrare Pinocchio (le marionette che prendono vita) con la Commedia dell’Arte e Shakespeare (impossibile non tornare al The Globe nelle dinamiche recitative, nei ruoli stereotipati che si instaurano tra i pupi dietro le quinte). Non è nemmeno scontato saper incrociare, come detto, Woody e Buzz Lightyear con don Chisciotte e Sancho Panza senza come minimo evitare il rischio mapazzone disorganico, pretenzioso e sgangherato.
Eppure Toys, pur esibendo tale derivatività, come una sceneggiatura tradizionale e la solita dialettica tra realtà e immaginazione (su cui ci sembra inutile dilungarsi), non manca di mostrare sin dall’inizio brio inventivo, scioltezza narrativa, coralità di personaggi, felicità di ritmo e originale sincretismo. Ingredienti capaci di creare un film a sfondo morale che intrattiene e diverte tutta la famiglia.
Al centro della scena una strana coppia di esclusi in cerca di riscatto e accettazione fuori da imposizioni limitanti: Don, marionetta idealista stufa di inscenare sempre il buffone durante gli spettacoli, fuggendo dal teatrino verso Central Park s’imbatte in DJ Doggy Dog, un cane peluche che è stato sottratto ai proprietari.
Epoche, valori, ambizioni, ideali, abiti diversi, se non opposti, fanno fiorire l’humour e non frenano l’amicizia tra il miles – un po’ - gloriosus e il dj a quattro zampe. Amicizia che diventa poi affratellamento, alleanza e unità d’intenti quando si tratterà salvare la comitiva di marionette dalle grinfie di due spregiudicati ladruncoli.
In effetti il titolo originale The inseparable, cancellato dalla distribuzione italiana per ammiccare all’usato sicuro (Plaion Pictures lo porterà da giovedì 16 gennaio in sala) vorrebbe adombrare i padri nobili del film per celebrare l’essenzialità di un legame nato magari per caso, ma che si scopre inscalfibile nelle avversità e nella diversità.
Ma, tra avventure, imprevisti e rivolgimenti di trama, tra cunicoli, boschi, fogne e aree giochi, il buddy movie dal telaio favolistico sfoggia anche una certa sensibilità sia sociale (la critica all’avidità di denaro dei due giovani teppistelli) che ambientalista: la verde Central Park appare a Don e Doggy Dog come un’oasi naturale, un luogo di scoperta di sé, nonché di coalizione con il mondo animale (procioni, oche e cavalli), mentre il caos metropolitano è condannato senza mezzi termini perché attenta alla biodiversità (strepitosa la scorribanda tra smog e macchine dei piccoli pupazzi a bordo dello stallone).
Insomma, se in filigrana nella cinepresa di Durengson spuntano le avventure Woody, Buzz e Compagnia, non è tutto Toy Story quello che qui luccica.