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Toy Story 3
Anche Andy cresce, e si prepara a partire per il college. Dove finiranno Woody, Buzz Lightyear e tutti gli altri giocattoli? Per sbaglio, al Sunnyside Daycare, ovvero un asilo per piccole, ordinarie pesti, che faranno della loro vita un inferno. Per fortuna, c'è l'Orsacchiotto tanti abbracci, il capo dei giocattoli dell'asilo: anzi no, il peluche al gusto di fragola non fa nulla per aiutarli, mentre Buzz sembra aver fatto comunella con Lotso. Chi aiuterà i nostri? Ovviamente, Woody, che escogita un audace piano di fuga…
“Verso l'infinito e oltre!” grida Buzz, e avrebbe potuto John Lasseter rimanervi indifferente? Certo che no, e l'undicesimo film della Pixar domiciliata a casa Disney infrange record su record negli Usa, ma senza spostare di una virgola la proverbiale, magica ricetta animata: meno solido sul piano drammaturgico di altre creature, Toy Story 3 fa comunque tesoro dei fratelli arrivati prima, salutando il primo threequel di casa Pixar con rara forza visiva, morbido ipercinetismo e tanta voglia di silenzio. Sì, anche quando si parla – non così spesso – il verbo non supera mai immagine e movimento, entrambi (metacinematograficamente) esaltati da angoli prospettici e filtri da “cinema altro”. Poi? Poi c'è la storia, che prende l'infanzia che se ne va (l'entrata al college e nel mondo adulto di Andy) e quella che rimane (i giocattoli) sugli scaffali, l'ecologia e il riciclaggio di giocattoli sporchi, il maschile e il femminile, il computer (CGI) e la matita, che veglia dal fuoricampo. Alt, dicevamo del femminile: ebbene, anche con gli occhialini 3D le polemiche femministe scatenate negli Usa vi sembreranno strabiche, e... tranquilli, ci vedete benissimo. Non vi resta che la buona, davvero, visione, e a noi la speranza: ci sarà un sequel anche per Wall-E? Chissà, ma “Verso l'infinito e oltre!” suonerebbe ancora meglio...