Capita che i sequel, ovvero quelle storie fondate sulla ripresa di una formula che funziona, siano soprattutto operazioni industriali pensate per cavalcare l’onda di un successo, ma nel caso di Tornando a Est conviene ricorrere a un altro schema. Che è quello della saga, dove una successione di nuovi eventi segue il decorso storico di un personaggio o di una genealogia di personaggi.

Tornando a Est ha tutta l’aria di essere il secondo capitolo di una saga che potrebbe svilupparsi ulteriormente, non fosse altro per le possibilità aperte dal periodo storico, dal racconto di formazione del trio, dalla commedia come chiave di lettura della realtà.

Due anni dopo gli eventi narrati in Est – Dittatura Last Minute (uscito nel 2020, piacque a Oliver Stone), i tre protagonisti si ritrovano nel nuovo mondo post-sovietico: è il 1991, il muro di Berlino è caduto e le tensioni internazionali sembrano essersi allentate, ma nella loro Cesena tutto procede senza troppe emozioni. Quando uno di loro, che intrattiene un rapporto epistolare con una ragazza di Sofia, trascina gli altri in Bulgaria, ecco che il viaggio prende una piega rocambolesca: l’amica bulgara nasconde un segreto, il SISMI traffica con i servizi segreti bulgari e il KGB, la criminalità balcanica si mette di traverso e i tre si ritrovano al centro di una rete pericolosa.

Tornando a Est gioca con le circostanze offerte da un mondo in trasformazione, dove il vecchio sistema tratta per la propria sopravvivenza (il deep state che resiste nonostante tutto) e la realtà sembra disattendere le aspettative di cambiamento. “Questo secolo oramai alla fine / saturo di parassiti senza dignità” dice il Battiato citato (nel precedente c’erano, invece, L’ombra della luce e Voglio vederti danzare), e Antonio Pisu mutua il disincanto di quelle parole senza rinunciare all’esercizio dello stupore testimoniato dai suoi tre timidi vitelloni.

E, anche grazie alla fotografia del rumeno Adrian Silisteanu, non riduce lo spaccato geopolitico né a un’illustrazione scontornata dai sussidiari né a una cartolina seppiata magari rinvenuta in un mercatino. Ben retto dalle interpretazioni di Lodo Guenzi, Matteo Gatta e Jacopo Costantini, Tornando a Est preserva la credibilità garantita dal materiale d’origine del primo film (il memoir Addio Ceausescu), qua e là eccede in bozzettismi ma ha il merito di evitare il provincialismo e di portare la provincia fuori dai confini nazionali e dagli interni borghesi. Con un finale che chiude un cerchio, intavola una parafrasi, apre prospettive e, chissà, nuovi orizzonti.