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Jodelle Ferland
Strano oggetto davvero il cinema di Terry Gilliam. Anarchico e compiaciuto, grottesco e claustrofobico. Volutamente eccessivo. L'opera di Gilliam non tende all'entropia, la cerca, come se nel disequilibrio dei suoi elementi fosse rinvenibile la sorgente di un nuovo ordine: prelogico piuttosto che razionale, onirico invece che reale, fondamentalmente percettivo. Nei suoi migliori lavori il cineasta americano lascia intuire, oltre la baraonda visiva, verso quale orizzonte armonico corra il suo cinema. Vedi Brazil. In altri la schizofrenia cinematica esplode senza più ricomporsi. Vedi i suoi film più recenti. Tideland, ultimo in ordine di tempo, purtroppo ce ne dà conferma. E dire che nella storia di questa bambina (Jodelle Ferland) con genitori eroinomani (Jeff Bridges e Jennifer Tilly), teste di barbie come amiche, sapienza glottologica dell'universo animale, vicini necrofili e cerebrolesi (Janet Mcteer e Brendan Fletcher), le premesse da sviluppare erano molteplici e notevoli. Dall'infanzia negata alla rilettura di Alice nel Paese delle meraviglie, dall'elaborazione del lutto all'incontro col diverso, solo per dirne alcune. Gilliam invece no ne sviluppa nessuna, non riesce o forse non gli interessa, sposta il piano della visione sull'asse obliquo del fantastico e risolve tutto con un saggio di distorsione dello sguardo che si poggia sulla deliberata inversione del canone cinematografico: non più la forma al servizio del contenuto, ma l'esatto contrario. La rappresentazione si fa così autopresentazione, variazione sulle proprie possibilità compositive,"immagine-sogno" senza ulteriori rimandi. Nè l'innocenza dark alla Burton nè l'ancoraggio morale alla Storia come Del Toro, ma un film che si avvita su stesso, senza emozione nè azione, lungo, esteriore, costretto a simbolismi contorti - a minacciare l'immaginaria arcadia è ancora il treno, ribattezzato "squalo", vale a dire grande predatore - e a citazionismi gratuiti (dal western a Psycho passando per i Pirati dei caraibi), sommerso sotto un diluvio formale che non lascia scampo nonostante la straordinaria prova della protagonista e la simpatica generosità degli altri comprimari. Mondi capovolti? Non proprio. A capovolgersi invece è la poetica di un autore talmente preso dalle sue visioni da non accorgersi che a forza d'inseguire i sogni si ottiene inevitabilmente di addormentare il pubblico.