Opera terza dell’attore, regista e sceneggiatore romeno Emanuel Pârvu, Three Kilometers to the End of the World concorre per la Palma d’Oro del 77° Festival di Cannes.

Per la prima volta in Concorso, Pârvu segue la storia del diciassettenne Adi (Ciprian Chiujdea), che trascorre l'estate sul Delta del Danubio. Mentre si prepara per gli esami, Adi viene brutalmente aggredito per strada: la matrice è omofoba, e getta la maschera al villaggio.

Scritto dal regista con la sodale Miruna Berescu, muove da “un argomento che mi interessa attualmente: l’amore (in)condizionato”, individuato precipuamente in quello tra genitore e figlio, e da un fatto di cronaca, avvenuto circa dieci anni orsono in uno sperduto paesino rumeno, con protagonista una ragazza violentata da sette ragazzi e quindi osteggiata dall’intera comunità.

Indagando “come la nostra società reagisce all’ingiustizia, attraverso film che possono sollevare macro domande attraverso micro universi” e rifuggendo il bianco & nero morale, Three Kilometers to the End of the World – location a Sfântu Gheorghe e Dunavăț, collegando complice il turismo estivo “le abitudini urbane con le tradizioni rurali” – è cinema di dichiarato impegno civile, laddove la denuncia sociale non ammette ambiguità ideologiche, la bontà del messaggio sconfessa la libera interpretazione spettatoriale, il visibile e l’enunciabile rapinano il fuoricampo.

Per capirci, la Nouvelle Vague romena dei Mungiu, che la battezzò proprio a Cannes con la Palma d’Oro a 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni nel 2007, dei Puiu e dei Porumboiu, almeno ai suoi massimi, era ben altra cosa, e proprio per l’opacità, la complessità, persino la refrattarietà del racconto, qui l’unilateralità il sopravvento, inficiando la tenuta artistica a scapito dell’adesione, per quanto pregevole, allo Zeitgeist.

Buona la scansione drammaturgica, efficace il ritmo narrativo, uniformemente bravi gli attori, si va a regime edificante con il padre che voleva Adi in marina e non ne accetta l’omosessualità, la madre che chiede aiuto al pope, il quale tira in ballo pure il vaccino per il Covid, e vai con l’esorcismo coatto, il poliziotto - da La morte del signor Lazarescu (2005) di Cristi Puiu a Police, Adjective (2009) di Corneliu Porumboiu fino a Bacalaureat (Un padre, una figlia) e Animali selvatici di Mungiu la corruzione è sovente contemplata nel cinema romeno – che cede al signorotto locale, e chissà se cederà anche il pater familias indebitato.

Non si salva nessuno, se non l’istituto girardiano del capro espiatorio. Lunga vita alla vittima, e ancor più ai carnefici, e nel novero i più perniciosi: i complici, che adoperano la vicinanza al soccombente, e segnatamente una letterale familiarità, per meglio disporne. Non sarà la fine del mondo, ma è un buon inizio: della fine stessa.