Dove mai potrà andare a parare una commedia che inizia la notte di Capodanno, inquadrando una pasticceria in crisi di mezza età Minnie Cooper (Sophie Cookson) che si rinchiude per sbaglio e dorme nel bagno del locale invece di festeggiare con fidanzato e amici, fin quando, al mattino, l’aitante imprenditore Quinn Hamiton (Lucien Laviscount) arriva “principescamente” a salvarla?

Quello che state pensando e che non diciamo è ciò che si avvererà in questa frustra, paludatissima rom-com londinese desunta dall’omonimo best-seller (in patria) vergato da Sophie Cousins, che qui si riadatta anche in versione sceneggiatrice del film per la regia di Nick Moore, montatore di successo (Tata Matilda, Biancaneve, Tutto può accadere a Broadway tra gli altri nel pedigree) e che, nostro malgrado, decide ora di fare il grande salto dietro la macchina da presa, senza, però, offrire mai spunti visivi ragguardevoli, ma infiacchendo la storia con una regia puramente di servizio.

Il salto, dunque, è avventato, il copione è fin troppo scontato nel lunghissimo tira e molla sentimentale, il ritmo bolso, il colpo di scena finale gratuito, e non conquista neanche il tono che oscilla senza sosta tra leggerezza e malinconia.

I protagonisti divisi nella scala sociale da paturnie, drammi, malinconie e necessità di riscatto di una generazione alla ricerca di identità e serenità sono il cuore tematico del film: la pasticceria a rischio chiusura per lei, un rapporto morboso con la madre, l’incomunicabilità sentimentale per lui.

Ma tra una nuotata in riva al lago e un gelato nel parco, tutto si prevede e niente stupisce in This Time Next Year – Cosa fai a Capodanno?, perfino la trovata che sostanzia l’antefatto della storia: Minnie e Quinn sono nati nella stanza d’ospedale, nello stesso giorno (il primo dell’anno per l’appunto) a un minuto di distanza. Il nome di Quinn sarebbe dovuto essere quello di Minnie. E viceversa. Rovesci del destino a indicare subliminalmente allo spettatore la predestinazione galeotta all’incontro negli anni (che rimanda alla lontana a One Day) e gli intrecci del caso che li rimetterà trent’anni dopo l’uno di fronte l’altra. 

Soprattutto, fa storcere il naso, nel pendolo che oscilla pigramente tra Harry ti presento SallyIl diario di Bridget JonesNotting Hill (di cui il regista fu anche montatore e che recupera come architrave sentimentale della storia) l’assioma ineliminabile vagamente maschiocentrico: donna nevrile, con fidanzato algido da scaricare e alla ricerca di pace che incontra casualmente il rampante affarista, l’unico in grado di ridonarle equilibrio e serenità. Come se la donna non potesse farsi da sé, con il suo talento (qui gastronomico) e la sua tenacia a superare gli ostacoli che vive quotidianamente la working class.

Ad ogni modo Sophie Cookson incarna con appropriatezza e tenerezza la parte, ma in fondo non sfigura neanche il più rigido, trattenuto, minimalista Lucien Laviscount. L’alchimia tra i due c’è, inutile negarlo. Ciò che manca è il resto del film.