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This Much I Know to be True
"It's a long way to find peace of mind, peace of mind
It's a long way to find peace of mind, peace of mind
And I'm just waiting now, for my time to come
And I'm just waiting now, for peace to come, for peace to come"
La fluviale Hollywood chiude Ghosteen, il monumentale album di Nick Cave & The Bad Seeds con il quale il grande cantautore australiano “pur continuando a fare i conti con il lutto, riesce ad alzare lo sguardo verso l'Alto” (Alessio Belli, Ondarock, 7/10/2019).
Nel nuovo lavoro di Andrew Dominik, This Much I Know to be True (presentato al festival di Berlino, poi a maggio in sala per 3 giorni, ora dall’8 luglio disponibile su MUBI), si dà seguito al discorso iniziato nel precedente, struggente One More Time with Feeling (2016), progetto nato per accompagnare Skeleton Tree: se allora all’atto della creazione veniva contrapposta la caduta nell’abisso data dalla violenza di un dolore indicibile (la perdita del figlio quindicenne Arthur), stavolta si esplora in maniera più essenziale (non più in bianco e nero, non più in 3D) la quotidianità dell’artista chiamato a dare una forma al caos.
Non è un caso se il prologo ci mostra un Nick Cave in camice bianco dentro una specie di laboratorio-bottega che illustra la serie di ceramiche da lui lavorate, una sorta di “Storia del Diavolo in diciotto statuine” realizzate quasi come contraltare “fisico” con cui dare forma concreta alle liriche eteree di una produzione sterminata e, si spera, infinita.
Ma This Much I Know to be True è, ancora una volta, forse di più, il tentativo di cristallizzare la magia di un sodalizio, quello tra Cave e il geniale Warren Ellis, che esplode con tutta la sua potenza sonora e visiva nel momento in cui sullo schermo compaiono le sessioni di registrazione di Ghosteen e, successivamente, del più recente Carnage (2021), album quest’ultimo che trasla il dolore della perdita dapprima intimo, privato, poi collettivo e planetario (esperienza accentuata dal deflagrare della pandemia).
Nick Cave e Warren Ellis @ Charlie GrayDominik e l’intero team creativo del film (Robbie Ryan alla fotografia, Matthew C. Hart al montaggio) danno il loro meglio quando si tratta di accompagnare l’esecuzione attraverso movimenti di macchina in grado di cogliere l’essenza quasi mistica di brani che le lyrics di Cave e le intuizioni multiforma di Ellis liberano nell’universo attraverso una specie di danza circolare che coinvolge anche gli archi e il coro.
Di fantasmi (ghosteen) e carneficine (carnage), di irruzioni surreali e commoventi (l’eccezionale partecipazione della cara amica Marianne Faithfull, non proprio in forma smagliante, costretta a respirare con l’ossigeno, che legge una poesia scritta da Cave), il gesto artistico teso non alla ricerca della felicità, ma alla ricerca del senso delle cose, a navigare nelle acque del caos.
È questo, in fondo, lo scarto che separa il Nick Cave dal film precedente a This Much I Know to be True, reso molto bene verso la fine del percorso, con il cantautore che legge alcune delle lettere che riceve su “The Red Hand Files” (“ce ne sono 38.065, non posso leggertele tutte”, dice rivolto a Dominik), sito che mette in comunicazione l’artista con i suoi fan. Gli occhi lucidi, la consapevolezza che il controllo sulle cose, sulla vita, è pura e semplice utopia.
“Peace will come, a peace will come, a peace will come in time
Time will come, a time will come, a time will come for us”
(Spinning Song).