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The Woman in the Fifth
Dopo My Summer of Love, un altro libero adattamento per il polacco trapiantato in UK Pawel Pawlikowski, The Woman in the Fifth, dal romanzo di Douglas Kennedy, in lizza per il Marc'Aurelio d'Oro. Protagonista Ethan Hawke, con occhiali da talpa e penna stitica: un solo romanzo all'attivo, e Parigi, per riabbracciare moglie e, soprattutto, figlia. Non va così, e si ritrova senza un soldo in una squallida pensione, costretto a fare la guardia notturna in situazione losca. Per fortuna, incontra una vedova di letteratura, Kristin Scott Thomas, che lo accudisce, lo soddisfa sessualmente e intellettualmente. Ma…
Parte come “un film francese” di rovelli e perdenti, con un po' di rive guache, un po' di pied noirs, incrocia il realismo della marginalità di Ethan e il simbolismo immaginifico, bucolico e flou della sua narrativa: lui è un po' qui tra noi, molto di più altrove, dove vorrebbe portare e riabbracciare la figlioletta. Ma le presenze oniriche, anzi, fantasmatiche non sono finite, e hanno pure carne, ossa e tatto (e che tatto!): come sempre, cerchez la femme, e dimenticatevi il resto, se non voi, sicuramente il buon Ethan. Lui si sacrifica all'immaginazione che tutto può e nulla concede, il film all'immaginazione che troppo può e nulla stringe: sballato il mix tra qui e là, ovvero realismo e sovrannaturale, vi potreste sentir presi per i fondelli. Con (più di) qualche buona ragione.