Il cinema horror di Federico Zampaglione ha una caratteristica precisa, che è un tratto mentale, una forma di pensiero: sa che il genere basta a se stesso. È l’approccio che ha reso grande il cinema italiano di Bava, Fulci, Argento e gli altri, quando il nostro film dell’orrore dava lezioni nel mondo. I registi respingevano l’idea di utilizzare l’horror per veicolare un messaggio sociale o politico, insomma con un significato “alto”, e si dedicavano al trionfo della morte, la coreografia dell’omicidio, la bellezza del sangue. È esattamente il gene che si è insediato nel corpo cinematografico di Zampaglione, e conduce all’ultimo The Well, dall’1 agosto in sala e – come tradizione dell’horror che fu – già venduto in 80 Paesi.

Il cantante dei Tiromancino, oggi regista, coltiva il genere con riverente omaggio ai maestri e colto spirito citazionista: Shadow si muoveva nella zona torture degli Hostel, sfiorando anche il nuovo horror francese, soprattutto Frontier(s); Tulpa era un’evocazione del bagliore del giallo, col serial killer nel locale sadomaso come riscrittura contemporanea di Sei donne per l’assassino di Mario Bava.

Al centro di The Well c’è un quadro maledetto. Una giovane restauratrice americana, Lisa Gray incarnata in Lauren LaVera, viene convocata in un villaggio italiano per rimettere in sesto un dipinto medievale distrutto da un incendio. La committente è la duchessa interpretata da Claudia Gerini, l’elegante donna del castello, che impone un limite temporale: l’opera va compiuta entro una certa data per finire all’asta. Così dice… E c’è la figlia piccola della donna, ossia Linda Zampaglione anche figlia del regista, che si comporta in modo sempre più strano. In montaggio alternato al restauro, intanto, vediamo un orrido essere col volto e corpo di Lorenzo Renzi che prende in ostaggio dei turisti e li costringe in una cantina, sottoponendoli a orribili torture prima di gettarli nel grande pozzo che domina il mefitico ambiente (ecco the well del titolo). Inutile dire che, come da genere, il cimento di Lisa è destinato a svelare qualcosa di terribile, direttamente collegato alla mattanza nelle segrete…

The Well
The Well

The Well

Stavolta l’horror guarda a La casa dalle finestre che ridono, il capolavoro di Avati, e sull’impianto aleggia lo spettro del pittore delle agonie Bruno Legnani. Ma non solo. Siamo nel territorio dell’orrore esoterico, quello che prevede l’esistenza di un’altra dimensione un passo di lato dalla nostra, un possibile aldilà che ha bisogno solo di una chiave per aprirsi e risucchiarci dentro. Il grimaldello è proprio il quadro. E l’ambizione, la folle hybris dietro al massacro, è il sogno wildiano dell’eterna giovinezza: “Ci sono persone che desiderano fermare il tempo” dice la duchessa all’ignara Lisa, la quale ribatte che lei la prova del tempo l’ha già vinta…

Il punto di The Well, la sua unicità in Italia oggi, sta tutta nel gesto di genere: Zampaglione allestisce uno slasher all’ultimo sangue, estremo e atroce, senza paura di mostrare anzi cercando l’eccesso, come nella sequenza dell’enucleazione oculare orgogliosamente in campo, grazie agli effetti prostetici di Carlo Diamantini. Una corsa gore sino al finale demoniaco. Un film racchiuso in novanta minuti che propone uno straordinario corollario di mostri, dal già citato Renzi a Melanie Gaydos affetta da displasia ectodermica. Tra questi c’è anche l’ultimo ruolo di Giovanni Lombardo Radice. L’horror, quella cosa che in Italia non fa quasi più nessuno.