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The Water Diviner
Come Kevin Costner e ancora prima Clint Eastwood, Russell Crowe è diventato un simbolo moderno della classica epica americana al cinema. E poco importa che sia neozelandese. Al cinema conta l'icona, l'impatto sull'immaginario collettivo: e quando interpreti Il gladiatore (che ovviamente non parlava di antica Roma) e Cinderella Man, certi film di Ridley Scott e Ron Howard, le stelle e le strisce compaiono sulla tua fronte.
Così per esordire alla regia con The Water Diviner, Crowe racconta la battaglia di Gallipoli e le traversie di un padre che attraversa la Turchia per ritrovare e seppellire i figli probabilmente morti al fronte, ma di cui forse almeno uno è salvo e si è rifatto una vita: il film così prende un dramma di guerra e un racconto familiare e lo fa diventare anche un viaggio nel cuore del kolossal bellico o post-bellico americano.
Scritto da Andrew Knight e Andrew Anastasios (autore dell'omonimo romanzo di partenza, edito da Piemme), The Water Diviner segue un percorso a ritroso rispetto all'omologo The Cut di Fatih Akin visto in concorso all'ultima Mostra del Cinema di Venezia: se in quello si partiva dalla Turchia per arrivare nel nuovo mondo, qui si parte dal nuovissimo (l'Australia) e si arriva in Turchia.
In mezzo, conflitti e tormenti interiori, respiro epico à la David Lean, scene spettacolari incorniciate da attimi intimisti che Crowe non reinterpreta in chiave personale o intimista, come nel caso del regista turco, ma ne approfitta per spiegare le ali di un cinema di ampio respiro romanzesco e spettacolare, grazie anche a un team di collaboratori molto validi come Andrew Lesnie alla fotografia, David Hirschfelder alle musiche, Chris Kennedy alle sconografie. Crowe conosce i punti di riferimento del cinema che vorrebbe, e vi si attiene diligente, anche se forse deve ancora – paradossalmente – limare la direzione degli attori. Magari in mano a Peter Weir (che parlò di Gallipoli in Gli anni spezzati) o Ron Howard, The Water Diviner sarebbe stato più efficace, ma questo è un esordio di cui non ci si può lamentare.